Da quando è stato istituto il Giorno della Memoria -in Italia con una legge del 2000 (per cui si è molto adoperato Furio Colombo), nel resto del mondo con una risoluzione delle Nazioni Unite del 2005- al suo approssimarsi si inizia regolarmente a discuterne il senso e il significato. Ma ogni anno i termini della discussione, l’atmosfera e il tono, e anche i luoghi di questa discussione sono diversi. A scanso di equivoci, chiarisco subito che sto parlando di persone alle quali la memoria della Shoah sta a cuore, persone che l’hanno studiata, su cui hanno riflettuto oppure l’hanno incontrata per trasmissione familiare. Non sto parlando dei negazionisti, non qui e non ora. E già questa precisazione ci dice qualcosa della nostra immediata contemporaneità: perché poi la memoria a questo serve, a parlare della contemporaneità, appunto.  
Ecco dunque un primo esempio delle molteplici ragioni per cui il Giorno della Memoria è importante, direi fondamentale. Lo è perché oggi la memoria è in pericolo. O almeno questa è la sensazione di molti di noi.  
Una parentesi. La memoria non è storia. Spesso, gli storici dicono che le due categorie sono contrapposte. Lo storico lavora sulle fonti e cerca, pur interpretando, di stabilire il fatti e i contesti: anche i contesti psicologici. La memoria è invece un costrutto labile e si esprime attraverso ricordi tramandati di generazione in generazione, romanzi, opere d’arte, cerimonie laiche e religiose, riti sempre laici e religiosi, articoli giornalistici, film, teatro e via elencando. Le memoria qualche volta non aderisce al cento per cento ai fatti storici ed è lì che sta la sua forza, nel suo potenziale narrativo, proiettato verso il futuro. Per fare un esempio banale: per lo storico è importante stabilire esattamente e nei dettagli i fatti del 25 aprile 1945. Per la costruzione della memoria è importante invece che quel giorno l’Italia venne liberata dal nazifascismo ed è per questo che il 25 aprile è Festa nazionale: e la sua iconografia è qualche volta non del tutto autentica, ma non per questo meno sentita.  
Chiusa la parentesi, torno al Giorno della Memoria. Per chi se ne occupa, le prime avvisaglie arrivano a dicembre. Gli editori mandano e-mail con i titoli dei libri in uscita a gennaio. E regolarmente torna la questione (spesso nelle conversazioni non pubbliche, talvolta su social media): ma non sono troppi? Le risposte variano. Qualche anno fa avrei detto (e forse l’ho detto): sì, sono troppi. Oggi invece dico che va bene così. Non tutti sono libri di qualità, molti avrebbero avuto più fortuna editoriale e più eco nei media se fossero usciti fuori da questo periodo, alcuni hanno un rapporto assai labile con la memoria della Shoah, eccetera. Però, ecco il secondo argomento: il fatto stesso che se ne discuta significa che questa memoria è importante, che non vogliamo che vada perduta, o peggio distrutta, da chi la teme o non la vuole accettare. Ci arrabbiamo perché la memoria della Shoah ci è cara.
E ci è cara per un semplice motivo, ed ecco il terzo argomento, perché questa memoria resta fondamentale per chiunque aneli a un mondo non in mano a forze xenofobe, nazionaliste, autoritarie, ma invece a uno con frontiere permeabili, istituzioni democratiche forti e senza l’odio per chi viene percepito come Altro da noi. “Mai più” è uno slogan spesso abusato. Però ne percepiamo l’abuso perché è uno slogan che ci corrisponde. Ricordare quindi cosa fu l’Europa di allora: non solo un posto orribile ma anche teatro di resistenze (al plurale), è la base stessa del nostro immaginare l’avvenire e del consesso civile.
Voglio dire una cosa forse banale: la memoria è viva ed evolve assieme a noi. Per questo ogni anno il Giorno della Memoria è diverso da quelli precedenti. Perché la nostra situazione, personale e sociale, cambia. Sono convinto che la pandemia abbia reso il Giorno della Memoria del 2022 più riflessivo e più sentito perché ci ha costretto a prendere consapevolezza della nostra fragilità.
Infine. Anche la discussione su quanto sia lecito usare la Shoah (al di là delle grottesche simbologie usate dai novax) come metro di misura -perché in fondo di questa si tratta- per altri genocidi o repressioni di massa, fa parte del contesto in cui viviamo. Certo, non c’è nulla di paragonabile al nichilismo radicale, espresso in quegli anni, con il rovesciamento dei valori, le camere a gas, l’industrializzazione della morte e l’idea che una parte dell’umanità dovesse ...[continua]

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