Cari amici,
ci siamo lasciati un mese fa col primo caso di contagio di Covid-19 in Marocco e nel frattempo tutto è precipitato, in Italia in maniera più drammatica, ma pure in Marocco, con la decisione del governo e del re di chiudere il paese a fronte dell’aumento dei casi e dei primi morti: sono state chiuse innanzitutto le frontiere, con la sospensione dei voli internazionali, poi le scuole, quindi la gente è stata invitata a restare chiusa in casa, dalle ore 18 del 20 marzo, per un mese intero, provvedimento annunciato il giorno precedente. Non capita certo come in Italia, dove si può circolare con l’autocertificazione. Qui le certificazioni vengono inoltrate a ogni famiglia direttamente dalla polizia.
La corsa agli acquisti dei beni di prima necessità è stata frenetica dopo l’annuncio del lockdown e i supermercati letteralmente presi d’assalto. Chi è arrivato tardi non ha potuto approvvigionarsi a sufficienza e ha atteso anche fino a quattro, cinque giorni l’arrivo dei poliziotti o delle forze ausiliarie a casa per la consegna dei permessi di spostamento: per fare la spesa, per lavoro, per motivi di salute...
Le città si sono svuotate, ma nei quartieri popolari è stato più difficile far accettare le misure di contenimento dell’epidemia e la polizia insieme all’esercito hanno agito perentoriamente. Si sono visti circolare carri armati militari per le strade di Casablanca, come a smentire quello che ci sforziamo di dire da giorni. “Siamo in cura, non in guerra”, ha scritto il monaco della comunità di Bose, Guido Dotti, per contrastare il linguaggio fortemente connotato che è andato per la maggiore durante l’emergenza anche in Italia. Il governo marocchino è abituato a usare le maniere forti per far rispettare norme di autorità e sappiamo che il paese investe moltissimo sulle forze di sicurezza e con una certa efficacia.
Pochi giorni fa è stato annunciato l’obbligo dell’utilizzo delle mascherine protettive per chi esce di casa. Pena per chi non rispetta la norma, da uno a tre mesi di carcerazione e un’ammenda.
Lo stato si è impegnato a fondo per la produzione e molte imprese hanno collaborato convertendo la propria produzione in quella utile richiesta dall’emergenza. Si è anche appropriatamente deciso un contenimento dei prezzi delle mascherine: ottanta centesimi di dirham, che significa poter acquistare cento mascherine al prezzo di ottanta dirham, meno di otto euro. Si pubblicizza tutto ciò sulla stampa online (quella cartacea è stata bloccata), come il grande impegno del monarca e del governo per trovare soluzioni rapide contro l’impoverimento che le misure di emergenza produrranno in maniera drammatica nel paese. Ma intanto le mascherine sono introvabili nei quartieri popolari più popolosi come nei grandi magazzini, quali Marjane.
In visita nell’estremo est del paese, dove la crisi economica è radicata ed è vivo e presente il movimento Hirak di protesta popolare, proprio nella depressa Jerada, la piccola città mineraria abbandonata per decenni dallo stato, che ora vede nascere nuove strutture grazie agli investimenti promessi, il politologo Mohamed Tozy, membro della Commissione speciale per un nuovo modello di sviluppo, ha dichiarato: “I marocchini sono ormai realisti, capiscono che il Marocco è cambiato. E molte cose sono diventate insopportabili, proprio perché il Marocco è cambiato. È diventato insopportabile che l’amministrazione non risponda alle richieste, che un servizio non arrivi. Perché il servizio esiste. Prima non esisteva il servizio pubblico, quindi le persone gestivano la cosa diversamente. Si rassegnavano. Oggi è perché il dispensario è costruito che l’assenza di un medico diventa uno scandalo”. Ed effettivamente in tutto il paese crescono edifici per i servizi, persino grandi centri culturali, infrastrutture che poi andrebbero adeguatamente riempite di persone e progetti. Gli investimenti ci sono, ma quanto è in grado il paese, ancora preda di un sistema di corruzione dilagante e capillare, di dare risposte concrete e tangibili a fronte di investimenti statali anche piuttosto onerosi?
Mi viene in mente il grande centro di incontro delle associazioni femminili di sette villaggi costruito dallo stato a Tagmoute, nell’Anti Atlante. Una struttura grande con ampi spazi, sale riunioni, asilo per i figli delle associate, ma piuttosto vuoto e disorganizzato, perché non c’è nessun lavoro di strategia. Ci si limita purtroppo all’emergenza e alla semplice logica dell’elemosina.
Lo stato è lontano. Anche quando fa grandi investimenti per lo sviluppo. Manca una reale democrazia e la carenza si mostra crudele quando non funzionano passaggi fondamentali, quando alla gente semplice non arriva quanto promesso, come le mascherine a ottanta centesimi.
C’è chi dice che la crisi dell’emergenza da Covid-19 abbia messo in luce piuttosto la forza dello stato: Hassan Benaddi, cofondatore del Pam (il filo monarchico e liberale Partito dell’autenticità e modernità), sostiene che il popolo con l’emergenza sanitaria ha riscoperto la forza del potere centrale, l’odiato Makhzen, e dei piccoli capi di quartiere, i Moqaddem, mediatori a livello gerarchico base e di fatto informatori capillarmente presenti nel sistema, atti a mantenere un ottimo controllo sociale in qualunque parte del paese. Il rispetto della norma che in Italia chiamiamo “io resto a casa” verrebbe in gran parte garantito proprio da loro e dal Makhzen, con in prima fila le forze dell’ordine e gli scienziati a dar manforte al sovrano.
È vero, la paura del disastro sanitario può creare nella popolazione un sentimento patriottico e l’abbiamo ampiamente sperimentato in queste settimane di quarantena in Italia.
Ma la vera emergenza sarà anche e specialmente in Marocco nella fragilissima sanità pubblica, all’interno dei poco attrezzati ospedali dove già si sta cominciando a sperimentarla.
Dice bene Mehdi, giovane operatore sanitario all’Ibn Rochid di Casablanca: “Sto cercando di rassicurarmi dicendo che questa pandemia ha messo in luce i fallimenti del nostro sistema sanitario e spero spinga i responsabili ad agire per migliorarlo. La mancanza di future riforme sanitarie mi spaventa ancora più del Covid-19”.