Se ne è andato in punta di piedi a 82 anni Ennio Bonali, tra il sonno e la morte come aveva sempre sperato. Ma la sua scomparsa improvvisa, oltre a lasciare nel dolore la moglie Adriana, i figli Paolo e Gianni, oltre alle amate nipotine e a uno stuolo di amici, ha impedito a Ennio di vedere nero su bianco le sue ultime ricerche sul “Dipartimento del Corniolo” la prima repubblica partigiana dell’Italia centro settentrionale (inverno 1944), che a breve apparirà sul volume LXIX di Studi Romagnoli in corso di pubblicazione, e uno studio su il brigadier generale J.F. Combe il “liberatore di Forlì” che nessuno a Forlì e dintorni conosce come tale, e che è immortalato nelle foto in bianco e nero di Torquatino Nanni alla Seghettina con il gruppo di alti ufficiali inglesi fuggiti dal campo di prigionia dopo l’8 settembre, che trovarono aiuto e solidarietà fattiva prima al monastero di Camaldoli e poi nell’Appennino tosco-romagnolo. Combe, insieme a Todhunter, rimase oltre due mesi tra i partigiani guidati da Riccardo Fedel “Libero” e dopo essere stati portati in salvo dai patrioti romagnoli, tra i quali Arturo Spazzoli e Giorgio Bazzocchi, sfondò al comando della sua divisione corazzata la Linea gotica ai Mandrioli e liberò S. Piero in Bagno il 26 settembre 1944. Una vita, quella di Ennio, all’insegna dell’antifascismo e del socialismo riformista, come aveva ribadito più volte. Il padre Guido era dirigente della ex Orsi Mangelli (a cui la città di Forlì ha dedicato anche una via proprio nell’area della storica azienda per aver impedito ai tedeschi in fuga di trafugare macchinari sensibili) e nipote di Tina Gori, esponente di punta dell’antifascismo forlivese. Negli anni Cinquanta aveva seguito a soli 14 anni il padre Guido in Brasile dopo il suo licenziamento da parte della Mangelli e, dopo tre anni, era ritornato a Forlì dove il padre aveva aperto una piccola officina meccanica. “Sono stati anni duri -aveva detto in più occasioni- che mi fecero diventare uomo troppo presto, ma formativi”. Del resto le radici di Ennio rimandano all’epopea risorgimentale e garibaldina che vide protagonisti quattro suo avi, Pietro, Antonio, Pellegrino e Vincenzo Bedei. Aveva molto giovane aderito al Psi, assumendo ruoli di rilievo riconoscendosi nelle posizioni prima di Riccardo Lombardi e poi di Antonio Giolitti, ma sempre con spirito critico. Allergico ai bizantinismi, ai giochi di potere e al correntismo, esprimeva apertamente il suo punto di vista e pagando di persona le sue scelte spesso in controtendenza. “Non sono mai stato un uomo di potere e quando diventai assessore al decentramento del Comune di Forlì nei primi anni Settanta non vidi l’ora, dopo pochi anni, di passare il testimone al giovane compagno Flavio Montanari e mi dedicai alla direzione de ‘Il Risveglio’, il periodico della federazione socialista”. Sposato nel 1964 con Adriana Fontana, dopo aver vinto il concorso nel 1968 diventò responsabile dell’ufficio stampa della Provincia fino al pensionamento nel 1994. Anni che fecero di quel servizio un punto di riferimento per tutti i comuni della Provincia di Forlì che comprendeva anche Rimini. Metodico, esigente, minuzioso al limite della pignoleria nel lavoro, dall’ufficio di piazza Morgagni 9 uscirono materiali e libri importanti; dimostrò grandi capacità relazionali e organizzative in occasione di convegni, conferenze, incontri e seminari di ogni tipo. Laureato in sociologia non più giovanissimo, si dedicò alla ricerca storica sul territorio forlivese curando libri che hanno segnato una svolta decisa negli studi storici come La Romagna e i generali inglesi, coordinata dal professor Lorenzo Bedeschi e da lui curata insieme a Dino Mengozzi, Tavolicci e l’area dei Tre Vescovi, ma soprattutto con le ricerche anche recenti sul comandante Libero e la resistenza militare e civile sull’Appennino tosco-romagnolo. Nominato presidente dell’Aics, appassionato ciclista della “Sauro Succi”, con gli amici delle due ruote aveva scalato tutte le più importanti vette alpine, dolomitiche e pirenaiche. Poi l’idea di trasformare la casa rurale di Trappisa di sotto nella valle di Strabatenza nella casa per ferie “Le Romagne”, primo esempio positivo di gestione pubblica di un fabbricato rurale della Regione Emilia Romagna. Per anni fu anche consigliere dell’Associazione nazionale famiglie di persone con disabilità (Anfass) di Forlì. Dopo la crisi del Psi, aveva aderito al Pd ed era stato tra i principali protagonisti della vittoria di Roberto Balzani alle primarie del 2008 rifiutando però, anche in quella occasione, qualunque tipo di incarico che gli era stato offerto. Accolse con entusiasmo la fase della “rottamazione” di Renzi, ma sempre con spirito critico. Ma il suo “pallino” continuava a essere la battaglia contro la falsa vulgata resistenziale che dominava in Romagna dal dopoguerra. “È evidente che non è esistita una sola Resistenza, ma più Resistenze, animate da strategie politiche e tattiche militari diverse. Quella forlivese è stata rilevante: per la precocità, per il numero dei combattenti e per la presenza in essa di personaggi di rilievo nazionale quali Torquato Nanni, avvocato socialista e leader della Romagna-Toscana, l’avvocato Bruno Angeletti, azionista e leader nel Cln, i fratelli Tonino e Arturo Spazzoli, eroi e martiri, Bruno Vailati, ufficiale dell’esercito e poi agente dell’Oss (i servizi segreti americani), Alberto Bardi “Falco”, vice comandante di Libero e poi comandante della 28a Gap, che liberò Ravenna nel dicembre 1944, i monaci di Camaldoli, il basso clero e centinaia di famiglie della montagna. E ancora, Antonio Carini “Orsi” o “Orso”, comunista combattente in Spagna, uno dei principali leader nazionali delle Brigate Garibaldi, ucciso a Meldola dalla guardia del Duce, e tanto in accordo con Libero da essere accusato dopo morto da Tabarri, nel suo ‘rapporto generale’, di esserne stato ‘gregario e succube’”.


Ennio in posa davanti alla via intitolata al padre, Guido, a Forlì

Dopo aver a lungo collaborato con Giorgio e Nicola Fedel, rispettivamente figlio e nipote del comandante Libero, Ennio nei suoi lavori, sempre documentati, si era fatta un’idea precisa della vicenda Libero e che ha scritto negli Atti del Convegno di Camaldoli del 2014, editi da “Una città”, e ne La guerra in Romagna (1943-1945), curato dal professor Luigi Lotti. Nell’occasione di una intervista disse: “Avanzo due proposte: all’Anpi, quella di inserire Riccardo Fedel nel proprio albo d’oro dei caduti per la libertà; alle istituzioni, quella di promuovere il conferimento di un’onorificenza alla sua memoria”. Il tempo è stato tiranno, ma la ricerca della verità continua. Negli ultimi anni aveva dato il suo contributo di idee alla rivista “Una città” e alla Fondazione Lewin e soprattutto aveva continuato la sua ricerca sulle resistenze in Appennino riportando alla luce le schede fondamentali prodotte dall’Allied Screening Commission (Asc), il servizio inglese che rimborsava i collaboranti italiani che avevano aiutato i militari del regno Unito a salvarsi, consegnate negli anni Settanta dallo storico inglese Roger Absalom all’Istituto storico della Resistenza di Pesaro, chiuse in un armadio e mai studiate. Documenti che dimostrano, podere per podere, il ruolo avuto da molte famiglie contadine (circa 300) dell’Appennino forlivese che aiutarono a rischio della vita numerosi militari del multicolore esercito del Regno Unito. Un ruolo riconosciuto dagli Alleati, ma taciuto per settant’anni dalla Repubblica italiana. Si era messo a disposizione anche nell’ultima tornata elettorale amministrativa forlivese schierandosi a fianco di Giorgio Calderoni. Lo aveva fatto come sempre in maniera disinteressata e con stile, pur non lesinando critiche e suggerimenti. Ennio era fatto così.