Il 29 luglio 2006, Pierre Vidal-Naquet se n’è andato, lasciando un vuoto terribile. Al di là della sofferenza e del dolore, per i quali non ci sono parole, vorrei semplicemente portare qui la testimonianza di quello che lui era per me e per “La Découverte”, la casa editrice di cui sono responsabile dal 1982: ben più che un autore o un direttore di collana (“Textes à l’appui/Histoire classique” creata nel 1965, ancora attiva quarant’anni più tardi), era un carissimo amico, un modello e una guida per tentare di mantenere la giusta rotta in un mondo di ingiustizie, dove il disprezzo della verità e il confuso qualunquismo mediatico sembrano diventati le anti-bussole dei nostri contemporanei.
E’ stato nel 1981 che l’ho conosciuto, quando François Maspero mi chiese di venire a dargli una mano nella casa editrice che aveva creato nel 1959. All’epoca “PVN” non era che un’icona per me, un singolare “storico politicamente impegnato”, di cui conoscevo appena -come tanti altri giovani e incolti “sessantottini”- la coraggiosa battaglia contro gli orrori della guerra in Algeria, con il Comitato Audin e il Manifesto dei 121. Un impegno condiviso con uomini e donne ben poco numerosi, tra i quali c’erano Jérôme Lindon e François Maspero. Ma in realtà ancora ignoravo l’essenziale: egli aveva alle spalle già più di vent’anni di ricerca scientifica profondamente innovatrice al fianco di Jean-Pierre Vernant, oltre vent’anni d’impegno e di rivolte ragionate e convinte. E, dietro tutto questo, il segno profondo e nascosto lasciato dalla scomparsa di Lucien e Margot, i suoi genitori, ad Auschwitz nel 1944.
Tutto questo non l’avrei scoperto che più tardi, nel corso degli anni d’amicizia e d’intensa complicità. Era il 1981 e quello che mi resta del nostro primo incontro è la gioia di Pierre quando vide la copertina del suo nuovo libro (Il cacciatore nero -così importante per lui) che François Maspero aveva creato per lui, con uno stupefacente quadro del Rinascimento che andava interamente dal “primo” al “quarto” di copertina. In seguito, quando François Maspero decise nel 1982 di affidarmi la sua casa editrice, diventata poi nel 1983 La Découverte, l’avventura sarebbe continuata; un’avventura che mi ha permesso, grazie a Pierre, di imparare tantissimo. Perché Pierre era al contempo un erudito, un “uomo in rivolta” sempre lucido, e un “passeur”, un traghettatore. Un “passeur” soprattutto per le sue famose prefazioni, quelle ai numerosi libri che ci proponeva, a noi come a tante altre case editrici - Marcel Benabou ha così potuto evocare “PVN préfacier, ou une forme latérale de l’histoire”, nel libro omaggio scritto dai suoi discepoli, e da noi pubblicato nel 1998 (Pierre Vidal-Naquet, un historien dans la cité).
Non potrò citarle tutte, ma due delle sue prefazioni mi hanno particolarmente colpito. La prima è quella al libro di un mio caro amico, il militante e psicanalista argentino Miguel Benasayag, Utopie et liberté, che ho pubblicato nel 1986. In quella prefazione scrisse, come una premonizione, a proposito della tortura: “Lo Stato e il potere di Stato saranno sempre delle maschere, cosa che non ci libererà mai dal dovere di estirparle -per esempio denunciando i pubblici appelli alla tortura che si sono moltiplicati dopo gli attentati terroristici di Parigi nel 1986”.
Un’altra prefazione, ancora più toccante, fu quella al libro di Nadine Heftler, Si tu t’en sors…, che ho pubblicato nel 1992. Deportata da Lione ad Auschwitz con il padre e la madre, nel maggio 1944, all’età di 15 anni, Nadine è sopravvissuta, a differenza dei suoi genitori. Al suo ritorno, mise per iscritto la testimonianza di quello che aveva vissuto. Un testo terrificante, che per lungo tempo tenne segreto prima di cercare, invano, di farlo pubblicare. Quando Pierre mi portò quel manoscritto era sconvolto: Nadine e i suoi avevano fatto l’atroce viaggio verso Auschwitz nello stesso treno di Lucien e Margot, i suoi genitori. Ancora oggi non è possibile rileggere quel libro e la sua prefazione senza piangere…
E insieme alle sue prefazioni, ovviamente, i libri e le opere di Pierre. Altri sapranno dire meglio di me l’importanza filosofica e antropologica dei suoi grandiosi lavori di storia antica, come i due volumi di Mythe et tragédie en Grèce ancienne, scritti con Jean-Pierre Vernant (1972 e 1986) o Les Grecs, les historiens, la démocratie. Le grand écart (2000). Dai primi anni ’80 e durante tutti quegli anni terribili che in tanti abbiamo vissuto con ...[continua]

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