Emilio Rosini è stato avvocato, docente, consigliere di Stato, presidente del Tar del Veneto, vicesindaco di Venezia. Ha operato attivamente nel Pci dal 1944 al 1966 rappresentandolo anche alla Camera dei Deputati.

Si parla tanto in Italia di crisi della giustizia. Tu che ne pensi? Secondo te esiste veramente?
Mi pare che più se ne parla e meno se ne approfondisce il significato. Le vicende indecenti di questi ultimi tempi, soprattutto l’approvazione delle famose leggi ad personam, tese a impedire lo svolgimento di alcuni processi per sottrarre alla condanna malfattori “eccellenti”, ma con l’effetto di favorire comportamenti canaglieschi di chiunque (depenalizzazione del falso in bilancio, abbreviazione dei termini di prescrizione), e lo scontro fra la magistratura e il potere governante (il governo e la maggioranza parlamentare che lo sostiene) ne hanno occultato la portata. La guerra personale del presidente del consiglio contro i magistrati che pretendono di giudicarlo solo perché, a suo dire, ce l’avrebbero con lui non può non esaurire l’attenzione del pubblico, anche per la chiassosità dei mezzi e la volgarità dei modi con cui è combattuta. Chiassosità e volgarità che hanno effetti devastanti sulla cultura del paese, e destabilizzanti della coesione sociale, perché accreditano insistentemente l’idea che lo Stato non garantisce la legalità: la giustizia non esiste, secondo il nostro presidente del consiglio, i giudici non sono mai imparziali perché sono tutti comunisti e disturbati mentali. Proclamazioni che gli consentono di restare imperturbabile al suo posto benché sia sfuggito solo per prescrizione del reato alla condanna per corruzione giudiziaria. Non può, dunque, questa situazione, incredibile e intollerabile, non invadere la scena. Però la crisi della giustizia, che attiene a problematici rapporti tra istituzioni pubbliche, è un problema che resterà nella sua gravità anche quando quella situazione sarà superata. Perciò la si deve discutere, e anzitutto capire, nelle sue componenti di fondo; senza farsi irretire dallo scontro sulla riforma dell’ordinamento giudiziario, con cui il potere governante cerca di indebolire e influenzare la funzione giudiziaria. E allora si deve avere la lucidità di riconoscere, anche da parte degli avversari di questo governo (che naturalmente nella guerriglia in corso sono portati a parteggiare per la magistratura), che se il potere governante ha torto non è detto che i magistrati abbiano sempre ragione; e soprattutto che la crisi della giustizia va molto al di là dello scontro sull’ordinamento giudiziario.
Quindi sei critico verso queste polemiche, trovi eccessivo lo stato d’allarme…
Il presidente della Repubblica ha rifiutato la sua firma sulla legge di riforma dell’ordinamento giudiziario essendogli apparsi incostituzionali quattro aspetti importanti della nuova normativa. Naturalmente possono esserci norme gravemente inopportune senza essere incostituzionali: come, secondo molti, la separazione delle carriere fra i magistrati addetti a funzioni diverse. Però i rilievi del capo dello Stato investono indubbiamente i punti più importanti della riforma. Li riassumo senza rispettare l’ordine in cui sono elencati nel messaggio presidenziale.
Uno di questi rilievi attiene all’istituzione di uffici “per il monitoraggio dell’esito dei procedimenti”. Siccome il monitoraggio dovrebbe servire, fra l’altro, a rilevare “eventuali carenze professionali”, questi uffici, dice il presidente, non si possono ricondurre all’organizzazione e al funzionamento dei servizi relativi alla giustizia, che è la funzione propria del ministro secondo la Costituzione. Ed è chiara, anche se il messaggio presidenziale naturalmente non ne accenna, l’intenzione del ministro di far sentire il suo fiato sul collo dei giudici e in particolare dei pubblici ministeri ricordandogli che con la scusa del monitoraggio il ministro andrà a fargli le pulci ogni volta che l’esito di un processo non gli piace e ogni volta che le procure se la prendono con qualche amico suo o del cosiddetto premier.
Però, perché dovrebbe temere le ispezioni un giudice che fa il suo dovere? Se si tratta di una carenza di professionalità rilevata, a ragione o a torto, dal ministro attraverso il monitoraggio, è sempre il Consiglio superiore della magistratura che decide se ci sia o non ci sia. Dunque, il monitoraggio affidato eventualmente a uffici ministeriali non toccherebbe per nulla l’indipendenza del giudice ...[continua]

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