Anni più tardi, tracciando il ritratto del fratello Mauro, divenuto gesuita (Il gesuita, in Scritti politici, pp. 137 ss.), esprimeva le ragioni di quel suo ideale distacco, collocandole in un aspetto caratteristico della tradizione, non solo religiosa, ma anche politica del nostro paese: «la verità a proposito del realismo politico odierno è che esso trasforma la vita politica in una questione di inerzia collettiva, non di cambiamento. La Realpolitik vive per forza di cose, di abitudini di massa e di tradizioni ben salde, non di pensieri nuovi e di impulsi spontanei» (p. 144).
Le sue prime esperienze pubblicistiche, durante gli studi universitari, già esprimono questa sua attitudine a non disgiungere l'impegno politico dalla riflessione etica ed intellettuale, che era, in polemica con il fascismo, la critica all'attivismo, come nichilismo morale, che si ritrova nell'articolo Diagnostica dei ventenni, pubblicato sulla rivista protestante Conscientia (25 sett. 1926), diretta da G. Gangale e P. Chiminelli, e sulla quale, come su Il Mondo di G. Amendola, scrisse vari articoli di cultura e di costume, e le prime note teatrali a cui dopo il 1930 seguirono le critiche cinematografiche sull'Italia letteraria.
Mentre attendeva alla stesura di una monografia su Michelangelo il cui manoscritto andò perduto, il C. collaborava a Salaria, la rivista diretta da A. Carocci, con un saggio, Note sulla civiltà e le utopie, uscito successivamente nel 1935, in cui emergono i primi connotati della sua originale polemica antistoricistica, che è anche rifiuto della tradizione neoidealistica italiana, di quella antifascista del Croce, come di quella fascista del Gentile, con una stringata disamina dei presupposti hegeliani impliciti nelle pur diverse nozioni, storicistica e attualistica, della «politica», rispetto a cui il C. recupera il principio kantiano dello «Stato di diritto» e con esso un vigoroso giusnaturalismo etico, già nutrito di una profonda conoscenza del pensiero classico. Sono motivi che il C. prende contemporaneamente a svolgere, su una falsariga più immediatamente politica, nei Quaderni dì Giustizia e Libertà. Sono queste cronache politiche clandestine dall'Italia (la prima è del dicembre 1932: ora sono raccolte nel volume degli Scritti politici e civili, a cura di M. Chiaromonte, Milano 1976) e abbracciano un arco di eventi importante, come la stabilizzazione del regime dopo la crisi del '29-'3O e il parallelo sopravvento del nazismo in Germania, con un'analisi molto lucida, concreta, nient'affatto intellettualistica, in cui però il C. tende a risalire oltre gli eventi per cogliere quelli che gli paiono essere i motivi di fondo della crisi della civiltà europea.
Di qui la riflessione che «il fascismo è il morbo più grave, non il vero e serio problema del mondo contemporaneo: veri e seri problemi sono che cosa il mondo deve fare della tecnica, come bisogna organizzare la vita economica perché l'economia non diventi la tiranna della vita sociale, come, infine, salvare la civiltà moderna eliminando ciò che ha portato essa civiltà alla tremenda impasse nella quale si dibatte», per soggiungere che «questi problemi vanno probabilmente risolti con spirito largamente socialista e non liberale, ma libertario» (p. 20). Di qui anche la sua prima critica all'antifascismo militante, a quel suo ridursi a «semplice negazione della negazione», alla sterilità di un programma di imperativi categorici, «diritto, giustizia, libertà, civiltà, ragione», in cui si compendiava il problema della «questione d'ordine morale».
Nel 1934 il C. emigrò in Francia, per evitare il mandato di cattura già firmato per lui in Italia, e più stretti si fecero i suoi rapporti con gli ambienti del fuoruscitismo antifascista, in particolare con il gruppo di Giustizia e Lib ...[continua]
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