In questo intervento vorrei provare ad affrontare alcuni problemi del dibattito teorico-politico e filosofico-giuridico contemporaneo a partire da un riferimento alla tradizione repubblicana della prima modernità. Nell’espressione "spunti repubblicani” mi ricollego infatti al termine "repubblicanesimo” nella sua accezione teorica: mi riferisco a quel paradigma interpretativo attraverso il quale lo storico neozelandese John Pocock, ne Il momento machiavelliano1, ha analizzato una serie di autori della prima modernità. Questi autori utilizzano un tipico linguaggio politico caratterizzato da concetti chiave quali virtù, corruzione, repubblica, forma, materia. L’uso di questi termini rimanderebbe secondo Pocock all’idea che i corpi politici tendono irrimediabilmente a corrompersi ed a degenerare, come se seguissero una sorta di Secondo principio della termodinamica morale. Di fronte a questa tendenza è perciò necessario un innesto di virtù politica, tale da generare ‘ordine’ e da impedire la corruzione. Ma questa virtù politica non può che assumere determinate forme istituzionali, quali quelle repubblicane, cioè -nella interpretazione di Pocock- quelle che si ispirano alla concezione aristotelica del ‘governo misto’. E tali forme istituzionali, sostiene Pocock, sono quelle che permettono all’uomo, concepito secondo l’insegnamento di Aristotele come zoon politikon, di realizzare e sviluppare appieno la sua natura, appunto, sociale e politica.
Partendo da questa interpretazione del repubblicanesimo come ideologia politica di ispirazione aristotelica, Pocock dipana un lungo filo rosso. Il repubblicanesimo si svilupperebbe nel pensiero dell’umanesimo civile italiano, in particolare in quello fiorentino del Quattrocento, trovando una formulazione significativa in Niccolò Machiavelli, Francesco Guicciardini e Donato Giannotti. In seguito, questa tradizione avrebbe intrapreso una sorta di migrazione, prima attraversando la Manica e radicandosi nel pensiero politico inglese e britannico del Seicento e del Settecento -un autore chiave è James Harrington-, poi solcando l’Atlantico per giungere nell’America del Nord, dove avrebbe permeato di sé il dibattito politico precedente la Rivoluzione americana ed in seguito quello intorno all’elaborazione della costituzione federale.
Alcuni autori contemporanei -quelli che tendiamo ad etichettare come "comunitaristi”-, ed in particolare Michael Sandel e ad Alasdair MacIntyre, utilizzano la ricostruzione di Pocock per cercare di fornire una traduzione politica delle loro posizioni teoriche relative al problema della coesione sociale e della formazione dell’identità individuale2. Questi autori affermano infatti che l’identità individuale ha bisogno di un contesto comunitario per svilupparsi, e da questo deriverebbe un "obbligo di appartenenza” alla comunità stessa. In altre parole, secondo Sandel e MacIntyre il valore della comunità deve essere riconosciuto dall’individuo perché l’individuo ha bisogno della comunità. In questi autori, ma anche in altri che esprimono posizioni teoriche molto differenti, come è il caso di Jürgen Habermas, il cerchio matrice aristotelica-comunitarismo-pensiero politico repubblicano-soluzioni istituzionali repubblicane tende perciò a chiudersi. Ma due di queste connessioni -la filiazione diretta del pensiero politico repubblicano dall’etica aristotelica, da un lato, e il nesso fra repubblicanesimo e comunitarismo dall’altro- sono state messe in questione da non pochi interpreti, in particolare dal filosofo, storico e teorico politico inglese Quentin Skinner3.
Secondo Skinner l’ascendenza aristotelica è dubbia perché nel Dna del repubblicanesimo c’è una presenza fortissima dell’eredità neoromana. Tale eredità, che rimanda a figure come Cicerone o Sallustio, viene fatta propria e sviluppata da Machiavelli. Secondo questa interpretazione, alla base delle istituzioni repubblicane non c’è la concezione aristotelica dell’uomo come zoon politikon, come animale che nella polis e nella partecipazione politica realizza la sua vera natura, ma quella secondo cui la partecipazione politica, lungi dall’essere il fine dell’uomo, è invece il mezzo che gli uomini usano per realizzare altri fini.
Riprendendo queste distinzioni storico-teoriche, alcuni autori hanno tentato di costruire una teoria politica che potremmo definire "neorepubblicana”, cioè una teoria politica alternativa sia al liberalismo sia al comunitarismo. Il progetto più sviluppato in ques ...[continua]

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