Hai letto che cosa hanno scritto in Francia a proposito del ripetersi dei suicidi col fuoco di adolescenti? "La gioventù ci lancia di nuovo in viso il suo disorientamento… Esso ci raggiunge come una scudisciata… La singolarità degli atti tragici di oggi è che manifestano… una tal sete di assoluto, una tale sensibilità al male collettivo del secolo. Byron non è morto. La sua Grecia oggi è il Biafra o il Vietnam… Come non vedere questa immensa angoscia… questa volontà di scuotere la tranquillità degli spiriti, questo bisogno assoluto di una causa che vi trascini aldilà di voi stessi?...” eccetera.
Sì, l’ho letto, e la prima cosa che direi è che il giornalista il quale s’è lasciato andare a un così fervoroso lamento va annoverato fra i responsabili dei suicidi di quei giovani. Solo in un senso, intendiamoci: nel senso che egli è evidentemente uno di quegli adulti incapaci di far altro che dar ragione ai giovani, qualunque cosa facciano. Incapace, cioè, di parlar loro da uomo a uomo, di ragionare, di non aggiungere confusione a confusione.
Perché, insomma, sono questi adulti che hanno "lanciato” il male collettivo del secolo, l’angoscia politica al posto del pessimismo metafisico, la moda di volere a ogni costo che ci sia una causa a cui votarsi, Biafra, Vietnam o Bolivia; e con questo l’illusione che viviamo ancora all’epoca di Byron e di Garibaldi; con la differenza che non ci sono né Byron, né Garibaldi e che al male collettivo del secolo, il quale secondo loro è un male politico, c’è ben poco rimedio, tranne la protesta verbale.
Perché? Tu pensi che il male d’oggi sia un male metafisico? Ma Jan Palach32, allora?
Ecco: tu mi offri subito un esempio del modo come ragionano gli adulti in questione, e di come, così ragionando, confondono le idee ai giovani, col non distinguere. Jan Palach si uccise in segno di ultima protesta contro la violenza fatta al suo popolo. C’era stata, in Cecoslovacchia, una speranza di libertà, la speranza era stata schiacciata, alla speranza era subentrata la disperazione. Il suicidio del giovane Palach testimoniava la disperazione sua e del suo popolo. Il quale, infatti, non s’è sbagliato: ha scelto Palach a suo simbolo.
Palach, e non gli altri che seguirono il suo esempio; perché nel sacrificio degli altri, che pure imponeva eguale rispetto, si poteva però avvertire qualcosa come un abbandono allo scoramento, una specie di contagio. In Palach, no: il suo era stato un atto libero e netto. Ora, non mi si venga a raccontare che un giovane di Lilla, il quale si suicida col fuoco lasciando detto che lo fa in segno di protesta contro la violenza che impera nel mondo, compie un gesto che ha lo stesso significato di quello di Jan Palach.
Per accettare una tal cosa, bisognerebbe ammettere che la situazione è oggi, a Lilla e nel resto del mondo, analoga a quella di Praga un anno fa. Si può tutt’al più sospettare che gliela sia data a credere, una tal cosa. E qui starebbe la responsabilità degli adulti di cui sopra. Ma no. Io preferisco pensare che i due ragazzi di Lilla fossero sconvolti da un turbamento interiore di cui non sappiamo nulla. Possiamo certo supporre che lo stato attuale del mondo abbia in qualche modo condotto quei ragazzi a un atto così estremo. Ma perché non parlare dello stato degli animi anziché dello stato del mondo? Non credo che si arrivi a togliersi la vita perché in una parte lontana del mondo imperversa una guerra atroce, ma posso ben immaginare che un animo giovane sia sconvolto al punto da volere la morte perché la vita gli appare priva di senso.
Insomma, il suicidio metafisico. Il Weltschmerz. Il giovane Werther. Ma hai detto un momento fa che non siamo più ai tempi di Byron.
Infatti non ci siamo. Ed è per questo che, quando il giornalista francese parla di "male collettivo del secolo”, dice una sciocchezza e rivela al tempo stesso l’equivoco deleterio che può aver avuto la sua parte nel suicidio di quei ragazzi. L’equivoco sta nell’aggiunta dell’epiteto "collettivo” alla vecchia espressione "male del secolo”. Già ai tempi di Musset, creatore dell’espressione, il "male del secolo” era un fatto d’astenia morale, di per se stesso non poco egocentrico e, se si vuole, metafisico, ma nient’affatto collettivo, cioè politico. Anzi era il contrario: comportava l’incapacità di provare la passione politica. L’esempio più chiaro è proprio il Lorenzaccio di Musset, tirannicida senza convinzione e senza affetto.
Ora, che cosa si è insegnato ai giovani d’ogg ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!