Fra contestazioni studentesche, scioperi, subbugli di piazza, si direbbe che in Italia e altrove (senza parlare degli Stati Uniti e dell’America latina) si sia alla vigilia di qualche grande rivoluzione (o di qualche dura reazione). Al tempo stesso, tutto questo sommovimento si svolge in un’atmosfera di irrealtà, come se dietro non ci fosse niente, e tutto, proprio tutto, consistesse nelle grida, nelle frasi scritte sugli striscioni e (naturalmente) nelle rivendicazioni materiali, quando si tratta di lavoratori o di impiegati organizzati. Rivendicazioni che potranno essere più o meno giustificate (è sempre legittimo per un salariato o uno stipendiato chiedere di guadagnare quanto guadagna chi guadagna più di lui), ma alle quali si sa in anticipo che sarà data una più o meno provvisoria, o più o meno illusoria, soddisfazione: fino alla prossima protesta e al prossimo sciopero. E così, pressapoco, dicasi per gli studenti. I quali, per quanto riguarda la scuola, ci torneranno per forza; se non tutti, almeno la maggioranza, alla quale non interessa la barba più o meno lunga, o il «potere studentesco», o Mao Tse, ma passare gli esami e farla finita con la scuola.
Tuttavia, il detto ibseniano che «la minoranza ha talvolta ragione, ma la maggioranza ha sempre torto» vale soprattutto per i giovani. La sommossa dei giovani potrà anche acquietarsi, anzi finire apparentemente in nulla, sprovveduta com’è di radici un po’ solide, di motivi intellettuali un po’ riflettuti, e soprattutto di scopi chiari e di mezzi commisurati; il peggio, poi, che potrebbe succedere sarebbe la trasformazione di questo fermento per tanta parte giustificato (o meglio, fondato in fatto) in una sorta di subbuglio permanente fomentato dallo spirito di violenza, che appare sempre più chiaramente il motivo dominante anche dai discorsi più pedantemente accademici che si leggono nelle riviste e rivistine di sinistra.
Ma che le cose possano finire nel peggio per quanto riguarda il movimento nel suo insieme, non toglie che vi siano in esso motivi di ragione. Di essi, il principale è che le premesse morali e intellettuali della società in cui questi giovani sono cresciuti e vivono sono le medesime della loro rivolta, e le si ritrova dovunque: nel modo di vivere degli anziani, nelle forme che prende la religione stabilita, nelle basi dello Stato, nei fondamenti (presunti) dell’arte, nei princìpi della filosofia che si insegna nelle scuole, nelle forme, infine, che prende attorno a loro la coesistenza sociale.
Tali premesse si possono riassumere nella degradazione irreparabile di ogni autorità. E qui non si parla di autorità nel senso gerarchico e istituzionale, bensì, semplicemente e terra terra, di autorità morale, anzi dell’eventualità stessa che s’abbia a riconoscere una norma qualsiasi e una qualsiasi disciplina superiori all’istintiva adesione a ciò che entusiasma o emoziona nel momento presente. Insomma ognuno ha ragione e non c’è nessuna ragione superiore alla ragione di ognuno. Sicché quando si presentano alla mente oggetti come «capitalismo», «borghesia», «proletariato», «rivoluzione», Mao, Castro, Guevara, Usa, e via dicendo, di cui si suppone per postulato che contengano in sé una volta per tutte tutto il loro significato (esattamente come delle immagini cinematografiche, che non hanno bisogno di attenzione né di analisi logiche), il consenso è immediato. E si capisce, dato che nessuno, proprio nessuno, si è mai curato di indurre i giovani a un’analisi ragionata di quei, più che fatti, conglomerati di fatti, idee e immagini più o meno esaltanti o odiosi. La ragione di questo, poi, è semplice: metodi, idee e concetti preesistenti e stabiliti, in base ai quali si sarebbero dovute aiutare le menti dei giovani a capire quei fatti e giudicarli, erano metodi, idee, concetti a loro volta non esaminati, e cioè prefabbricati, che contenevano per assioma e davano per dimostrati precisamente i concetti che si sarebbe trattato di spiegare e dipanare.
Limitandoci all’Italia, e alla formazione mentale cui son state assoggettate due generazioni di giovani, si pensi alla sequela crocianesimo-gentilianesimo-gramscismo-marxismo spicciolo, per finire all’attuale caotica deliquescenza contestatrice, che comprende editori guerriglieri, ragazzi contestatori, anziani bersaglieri della Rivoluzione, preti ribelli e cattolici di sinistra vecchi e giovani. Il fatto è che una tradizione più autorevole di questa non c’era e non s’è formata (ma è pur spera ...[continua]

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