«È semplice -dicono gli studenti- questa società non può funzionare se l’università non le fornisce i quadri tecnici, dirigenti e insegnanti; se dunque impediamo all’università di continuare a funzionare al vecchio modo, non costringiamo solo l’università a riformarsi, ma la società intera ad accettare i mutamenti che discenderanno dai centri della sua vita intellettuale».
«Avete dunque davvero una tal fede nel potere della scuola -vien fatto di rispondere- da credere che l’università costituisca il centro della vita morale di una società, e che insomma sia la verità che la virtù s’imparino in classe? Ai miei tempi, solo i presidi e i rettori, nei loro discorsi inaugurali, esprimevano solenni concetti in tal senso; e nemmeno tutti... Ma lasciamo andare. Vorrei piuttosto domandarvi se credete che il mutamento che volete possa essere totale e subitaneo, oppure se dovrà necessariamente procedere per tappe e richiederà del tempo».
«Certo che richiederà del tempo. Ma noi continueremo a contestare».
«Sicché avrete, in un primo tempo, e anche in un secondo e in un terzo, un’università con corsi che saranno in parte fondati sui nuovi rapporti d’eguaglianza fra docente e studente che voi esigete, in parte vecchi corsi sotto più o meno mentite spoglie (giacché non mancheranno certo, fra i professori partigiani della contestazione, gli opportunisti né, più semplicemente, i mediocri) e in parte, infine, i vecchi corsi più o mono tollerati, ma per un certo tempo indispensabili se non vorrete abolire del tutto l’insegnamento di talune materie di cui siano specialisti degli insegnanti, diciamo, conservatori».
«Certo che ci sarà un periodo di transizione. Ma, insistiamo, quel che importa è che la contestazione continui: continuando, il vecchio sarà progressivamente distrutto finché non abbia ceduto il posto al nuovo. La formazione di matematici, fisici, architetti, tecnici d’ogni specie, filosofi, storici, letterati dotati di una mentalità nuova, capaci di affrontare i problemi teorici e pratici in modi nuovi, e insomma decisi a sbaraccare la decrepita società borghese e neocapitalista, non potrebbe non avere effetti sovversivi molto concreti».
«Siete dunque dei gradualisti, disposti a procedere passo per passo, affidandovi unicamente a metodi d’azione pacifici, alla persuasione e al senso di ciò che è praticamente fattibile?».
«Eh, no. La nostra contestazione rimane globale. Non mettiamo nessun limite pregiudiziale né alla nostra azione né al nostro pensiero. Inventeremo i metodi d’azione a seconda delle circostanze e delle resistenze che incontreremo: persuasione quando la persuasione basti, violenza quando ci troveremo di fronte alla violenza o all’autoritarismo cieco. Quanto alle idee, nasceranno anch’esse dal corso dell’azione».
«Insomma, le riforme non vi bastano: volete la rivoluzione».
«Certo».
«Quale rivoluzione?».
«Uno dei nostri ha detto: sarebbe un errore stabilire regole dogmatiche, o anche un piano dogmatico della società futura. Noi pensiamo che tale società emergerà nel corso stesso della lotta. Quel che sappiamo è che rifiutiamo la società attuale, e sappiamo anche che, generalmente parlando, siamo favorevoli alla socializzazione e al controllo operaio; infatti, siamo in maggioranza dei marxisti libertari, e crediamo nella parola d’ordine Tutto il potere ai soviet. Siamo convinti che questa parola d’ordine non è affatto antiquata, solo che non è stata applicata come si sarebbe dovuto. Crediamo nell’abolizione del danaro e nell’espropriazione di ogni proprietà privata».
«Eccoci fuori dall’università, dal nuovo corso degli studi, dalla trasformazione graduale della società attraverso la creazione di una classe intellettuale innovatrice. Eccoci in politica, e in una politica necessariamente autoritaria. Perché sarà evidente anche a voi, credo, che per espropriare gli espropriatori ci vuole una forza organizzata che faccia l’operazione; questa forza organizzata deve avere un ...[continua]
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