Le bombe cadono su Kharkiv e su Kiev in ciò che è diventato il più grande e sanguinoso conflitto che l’Europa abbia sperimentato sin dalla Seconda guerra mondiale. Sono circa duemila gli ucraini uccisi o feriti, un po’ meno i russi, e presto saranno centinaia di migliaia quelli che diventeranno rifugiati. Il Presidente Vladimir Putin ha circondato l’Ucraina con 190.000 truppe, un primo passo per ricreare la posizione russa di superpotenza e la vecchia sfera di influenza sovietica. Tutto ciò non è frutto di una decisione del Presidente Biden; lui ha lavorato sulle basi delle informazioni fornitegli dal suo staff e dalle agenzie. Ora gli Stati Uniti e i suoi alleati stanno facendo ricorso a qualsiasi mezzo, salvo l’invio di truppe, per fermare l’invasione russa. Questo include l’utilizzo di paesi alleati come l’Estonia, la Lituania e la Lettonia per inviare attrezzatura militare a Kiev, interrompere l’importazione di semiconduttori, congelare i conti bancari degli oligarchi, escludere la Russia dallo Swift, e bloccare la realizzazione del gasdotto Nord-Stream 2 per l’Europa. Si tratta di decisioni politiche stringenti, che colpiscono duro, anche se la loro efficacia è incerta.

Le sanzioni potrebbero perdere di forza, una volta che la Russia farà ricorso ai propri alleati per proseguire nei suoi affari. Nel campo di commercio e investimenti c’è sempre la Cina, e forse l’Iran; le ambizioni nazionaliste sono determinanti, e avrebbe senso se Putin decidesse di rivolgersi nella direzione di quei paesi. Le tensioni al confine settentrionale tra Russia e Cina, indubbiamente, verrebbero a diminuire, e il Presidente Xi Jinping troverebbe un entusiasta sostenitore delle sue politiche anti-occidentali riguardo Taiwan, Hong Kong e le isole Senkaku. Dati i suoi immensi giacimenti di petrolio e gas naturale, il commercio con l’Iran permetterebbe di compensare le perdite subite dalla Russia nel blocco al Nord Stream 2 operato dalla Nato. A quanto risulta dai miliardi e miliardi investiti dai cinesi in Africa e Medio oriente, per loro i soldi non sarebbero un problema.

Tra gli errori compiuto nel formulare una politica estera c’è l’eccessiva enfasi sui “costi”. La verità è che i soldi si possono sempre trovare, e questo vale sia per gli Stati Uniti, sia per un’economia fragile come quella russa. La realtà è che poche guerre d’invasione producono un profitto, tanto per il vincitore quanto per il perdente; ma forse, la guerra d’Ucraina non si sarebbe mai combatutta se il conflitto fosse stato dettato da motivi di interesse economico, che sono sempre calcolabili e suscettibili al compromesso. Questo è meno vero quando le motivazioni riguardano l’orgoglio nazionale, le ambizioni geopolitiche, o questioni di “credibilità”. Qui non c’è nulla di calcolabile, e sono queste le preoccupazioni che hanno generato l’attuale crisi.

Nel tentativo di confermare la propria posizione globale di primus inter pares, posizione erosasi considerevolmente negli anni della presidenza Trump, gli Stati Uniti hanno testardamente enfatizzato il diritto della Nato di mantenersi aperta alle candidature di nuovi membri. Come si sarebbe dovuto consolidare questo “diritto” rimane poco chiaro, ma la Russia lo ha interpretato come una giustificazione ideologica a minacciare la propria sicurezza e a colonizzare la sua presunta sfera d’influenza. Le azioni della Russia si sono basate sull’orgoglio nazionale e le tradizioni politiche, piuttosto che sul calcolo dei benefici economici che sarebbero derivati dallo sconfiggere l’Ucraina. Questo perché la sua politica estera di base è sempre rimasta la stessa sin dai tempi di Pietro il Grande, e cioè assicurarsi il controllo dei porti “d’acqua calda”, liberi dai ghiacci, e consolidare stati cuscinetto che la proteggessero dalle invasioni dell’Occidente come avvenuto nel 1812, 1914 e 1941. I movimenti delle truppe russe, inizialmente, hanno ricalcato fedelmente le vecchie priorità di conquistare i confini e i porti, poi hanno accerchiata l’Ucraina, che è stata lasciata sola a pagare il prezzo delle paure dei suoi vicini.

Enfatizzando queste preoccupazioni, sia gli Stati Uniti che la Russia hanno sostituito una mera speculazione con un’immediata realtà. Inizialmente, l’Ucraina desiderava aderire all’Unione europea meramente per i benefici economici. Ogni discussione circa l’adesione alla Nato del Paese, secondo i decisori politici, era considerabile prematura almeno di un decennio. Ma la verità è che era il futuro dell’Ucraina stesso a essere considerato una questione secondaria. Il Presidente Biden aveva già cominciato a inviare aiuti militari per permettere agli Stati Uniti, anche senza ricorrere alle proprie truppe, di dominare la politica globale standosene a bordo campo a guardare Russia e Ucraina combattere; ma la politica russa, sin dal principio, prevedeva di rendere subordinata alle ambizioni russe la sovranità ucraina. E così l’Ucraina è divenuta un “danno collaterale”, la sua sovranità sacrificata al diritto della Nato e alle mire geopolitiche della Russia, così come la sovranità della Cecoslovacchia nel 1938 venne sacrificata per ottenere una “pace per i nostri tempi”.

Stati Uniti e Russia potrebbero ancora trovare un accordo che impedisca all’Ucraina di entrare nella Nato, pur ottenendo una piena adesione all’Unione europea. Ma questo significherebbe un compromesso ai danni del diritto della Nato di espandersi in modo indefinito, una rinuncia da parte russa alle proprie ambizioni nazionali, e il ritemprarsi delle rivendicazioni ideologiche di entrambi gli schieramenti. L’Occidente sarebbe costretto a riconoscere la legittimità delle preoccupazioni russe circa la propria sicurezza, e Putin dovrebbe ripensare tutto il piano per ricreare il blocco sovietico. Per quanto riguarda l’Ucraina, la resa incondizionata sarebbe inaccettabile. I suoi leader devono tenere aperte tutte le opzioni. Sono in corso le negoziazioni, ma esiste ancora la possibilità che falliscano. Armare il popolo ucraino ne stimolerebbe l’impegno a difendersi, ma è probabile che produrrebbe un bagno di sangue, mentre le prospettive di una vittoria ucraina rimarrebbero esigue. Data la carenza di alternative, i leader ucraini dovranno organizzare un governo in esilio.

Forse potrebbe essere utile inquadrare la questione così: la rabbia passa, ma le mire geopolitiche restano. Mantenere una moderata preoccupazione circa la sfera d’influenza della Russia è del tutto legittimo, meno lo è l’indignazione autocompiaciuta. La Dottrina Monroe del 1823 permette ancora agli Stati Uniti di “proteggere” l’America Latina dall’influenza di potenze straniere e, usando quella come giustificazione, si è potuto sostenere un gran numero dei dittatori più feroci. È utile ricordare che Jfk era pronto a far scoppiare una guerra globale perché i russi avevano posizionato dei missili a Cuba. Anche se l’invasione russa è stata accolta da proteste globali e prese di posizioni indignate in tutto il mondo, le cose non sono diverse da quando nel 1956 l’Unione sovietica represse la rivolta d’Ungheria, o quando nel 1968 i suoi carrarmati entrarono in Cecoslovacchia per porre fine alla “primavera di Praga”.

 

Si fa presto a parlare, ma le politiche anti-russe, nel concreto, sono evaporate. L’Ucraina va verso la sconfitta e, se questa dovesse verificarsi, la resistenza dovrà trovare una nuova sede: l’Ucraina avrà bisogno di esistere al di fuori dei propri confini. Certo le cose possono cambiare, si può sempre sbagliare e la guerra è imprevedibile. Chi sa cosa potrà accadere? Le manifestazioni di massa dei cittadini russi potrebbero mettere a repentaglio il regime di Putin; la guerra lampo potrebbe rallentare fino a fermarsi; i rifugiati potrebbero produrre un impatto sulla crisi; le sanzioni potrebbero rivelarsi più devastanti del previsto; le risorse russe per sostenere l’invasione potrebbero esaurirsi... Nulla di tutto ciò è sicuro.

I rapporti tra Ucraina e Russia sono storicamente complessi. Parti dell’Ucraina furono incorporate nell’impero russo nel Diciannovesimo secolo, e il sogno dell’indipendenza avrebbe poi fomentato una resistenza allo Zar. Tentati dal sostegno di Lenin al diritto all’autodeterminazione nazionale, l’Ucraina si unì all’Urss come Repubblica Socialista Sovietica Ucraina. Dopo la rivoluzione bolscevica del 1917 Lenin cambiò strada: il “diritto” all’autodeterminazione nazionale era considerabile valido solo nei paesi capitalisti. Questo avrebbe creato le basi per le future tensioni tra le due nazioni. A queste si aggiunsero in seguito la carestia artificialmente imposta da Stalin all’Ucraina nel 1932-33, durante la quale morirono quasi quattro milioni di persone. L’odio anti-russo divenne così intenso nel paese che parti dell’Ucraina si offrirono ai nazisti nel 1941; questo, prima che sperimentassero sanguinosamente il razzismo anti-slavico e si rivoltassero contro l’invasore. Dopo la Seconda guerra mondiale sarebbe cambiato poco: l’Ucraina sarebbe rimasta parte dell’Unione sovietica fino alla sua implosione nel 1989. Con le rivolte del Maidan del 2014 il governo filo russo del presidente Viktor Yanukoych venne deposto, e l’Ucraina festeggiò la propria sovranità. Ma la nazione più debole continuò a rimanere all’ombra della più forte.

La questione non è tanto se l’Ucraina sia storicamente parte della Russia o no, ma se può essere ancora considerata sotto la sua sfera d’influenza. La sua posizione geopolitica la rende utile come cuscinetto per i confini russi, e per difendere il suo accesso ai porti meridionali. Ma pensare alla questione in questi termini non fa che scambiare le preoccupazioni future con le realtà del presente. Nell’agenda Nato non c’è alcun piano di invasione o interferenza, anche se è possibile riaccendere le passioni nazionaliste anche solo sollevando queste speculazioni. Gli Stati Uniti dovrebbero cominciare a pensare a quali siano i piani di Putin circa la Bulgaria, l’Ungheria e la Polonia. La crisi attuale è complessa, e ancor più difficile sarà risolverla. Gli esperti e i media più navigati commetteranno errori. Eppure, l’ipocrisia senza vergogna dei Repubblicani trascende tutto ciò.

All’inizio attaccavano Biden per la sua “debolezza” nel “tenere testa”a Putin, ma allo stesso tempo erano contrari all’invio di truppe; ora i sostenitori di Trump affermano che l’invasione sia tutta colpa di Biden, come se il suo mettere in guardia che sarebbe stato necessario che gli Stati Uniti preparassero una dura risposta all’espansionismo di Putin avesse provocato l’invasione Russia. Ma c’è di peggio. I Repubblicani tendono a opporsi convintamente a ogni politica prudente. Non sanno che farsene di politiche che allevino le tensioni con la Cina, o producano un nuovo accordo sul nucleare e nuovi rapporti economici con l’Iran. È difficile credere che sosterrebbero un accordo con la Russia che porti a diminuire l’entità dell’arsenale nucleare o ne proibisca l’uso preventivo; è anche noto che i Repubblicani non siano esattamente dediti all’accoglienza di rifugiati. Quei politici reazionari non sanno che altro dire per contribuire alla discussione, se non ribadire il loro lamentoso “fate qualcosa!”.

Non ci sono soluzioni semplici. I problemi concreti con cui devono avere a che fare tutti i partiti sono già abbastanza intrecciati e complessi: come è meglio che finisca il conflitto, come mantenere una resistenza, come fornire aiuti umanitari al popolo ucraino, come gestire l’incombente ondata di rifugiati, come impedire che il conflitto dilaghi altrove e, infine, come eliminare la minacce dell’uso delle armi nucleari? Solo l’obiettivo più etico è evidente: mitigare circostanze in cui, come già notato da Tucidide nella sua “La guerra del Peloponneso”, “I forti fanno come vogliono, e i più deboli cedono come possono”.