Nell'ultimo numero di "The New York Review of Books”, Diane Ravitch dedica un lungo e approfondito articolo al modello finlandese.
Mentre negli Stati Uniti il dibattito è ormai monopolizzato dai cosiddetti "no excuses” reformers, (cioè quelli che pensano che tutte le colpe del fallimento della scuola siano imputabili agli insegnanti) e dai "corporate reformer”, cioè quelli convinti che l'unica via d'uscita sia una scuola gestita da manager, la scuola finlandese sembra ridare speranza a chi non ha smesso di credere nella scuola pubblica. Ma piace anche ai sostenitori della scuola privata.
Gli studenti finlandesi pare siano tra i migliori delle trentaquattro nazioni che fanno parte dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), Stati Uniti inclusi. Eppure il modello finlandese è l'esatto opposto di quello americano, fatto di test, voucher, spirito competitivo.
L'altro aspetto paradossale è che in fondo la Finlandia sembra essere riuscita a realizzare l'ideale "americano" dell'uguaglianza, in quanto gli studenti non solo hanno buoni risultati, ma c'è una variazione minima nella qualità della loro preparazione a riprova delle pari opportunità nella formazione. D'altra parte la riforma della scuola finlandese è partita proprio da alcuni assunti americani, come appunto le pari opportunità nell'accesso allo studio, un insegnamento personalizzato e l'apprendimento cooperativo. Non a caso tra gli ispiratori del suo modello c'è John Dewey.
Ravitch trae le informazioni e le valutazioni che propone ai lettori della "New York Review of Books” da un recente libro di Pasi Sahlberg, già insegnante e ora ricercatrice che ha scritto "Finish Lessons: What Can the World Learn from Educational Change in Finland?”. A chi obietta che la Finlandia è troppo piccola per fare da modello, Sahlberg risponde che circa trenta stati degli Stati Uniti hanno più o meno la stessa popolazione.
Anche il modello finlandese in realtà mette al centro l'insegnante, ma non nel senso di sottoporlo a continue verifiche sul rendimento (fatte peraltro sottoponendo gli allievi ai famosi test a multiple choice), bensì investendo nella sua formazione, e ponendo l'accento sulla responsabilità più che sulla valutazione. I nove anni della scuola dell'obbligo finlandese sono una free zone, una "zona libera”, dai test standardizzati.
Gli insegnanti finlandesi cercano in tutti i modi di tenere gli studenti al passo, sanno che qualsiasi etichetta che sancisca un loro fallimento incide sulla loro motivazione e contribuisce a perpetuare la disuguaglianza sociale. Pare che la ricetta funzioni visto che il 93% si diploma.
Ma l'architrave di questo sistema è la straordinaria preparazione degli insegnanti. Solo otto università sono autorizzate a formarli e la selezione è molto rigida: viene accettato un candidato su dieci. Non c'è un altro modo di diventare insegnante. Per essere accolti è necessario aver già seguito corsi di fisica, chimica, filosofia, musica alle scuole superiori e conoscere almeno due lingue straniere. Dopo tre anni di università, c'è il master. Anch'esso obbligatorio. Ogni candidato deve inoltre seguire una specifica preparazione per poter insegnare a tutti, inclusi ragazzi con disabilità o bisogni speciali.
Sahlberg dice che gli insegnanti hanno un forte senso della missione, ma sono anche estremamente gelosi della loro autonomia. A parte i contenuti indicati dal programma nazionale, sono gli insegnanti a decidere cosa insegnare, come insegnarlo e anche come valutare i progressi degli studenti. Non stupisce che in Finlandia fare l'insegnante sia una professione molto prestigiosa.
(http://www.nybooks.com/articles/archives/2012/mar/08/schools-we-can-envy)