Ho incontrato Gino Bianco per la prima volta a Londra all’inizio del 1968, poco dopo essermi unito all’Internazionale Socialista come curatore editoriale del loro periodico.
Uno dei miei compiti era l’organizzazione delle conferenze stampa; alla mia prima volta, seduto in prima fila, c’era un uomo piccolo e dall’aspetto fiero, che si era presentato come corrispondente londinese per l’Avanti!, il giornale dei Socialisti Italiani. Non so più su cosa fosse la conferenza stampa, ma ricordo di essere rimasto affascinato dal forte accento italiano di Gino. Non l’avrebbe mai perso, anche dopo aver cominciato a padroneggiare la lingua. Poco dopo quel primo incontro, Gino e io uscimmo a pranzo assieme, per parlare della situazione politica italiana. Ne nacque una forte amicizia, durata fino alla sua triste dipartita, nel 2005.
Ho poi scoperto che Gino era arrivato a Londra nel febbraio del 1966 assieme a Carlo Ripa di Meana, un giovane ex comunista, che sarebbe poi diventato commissario europeo e ministro italiano per i Verdi. Speravano di costituire, in associazione con l’Università del Sussex, una sezione inglese del centro di ricerca Ceses, che aveva base a Milano, ed era specializ- zato in studi sovietici e dell’est Europa; ma c’era stata una discussione con il direttore del Ceses, a proposito di un tentativo di censura da Milano, così il progetto era fallito. Ciononostante, Gino aveva deciso di restare a Londra, incoraggiato dal suo grande mentore ed ex collega a Tempo presente, Nicola Chiaromonte, per vedere da vicino un "paese democratico” lontano dagli intrighi machiavellici della politica italiana, all’epoca dominata da comunisti e vecchi democristiani.
Nel giugno 1966 l’avrebbero raggiunto la sua formidabile moglie e i suoi tre figli, Vera, Miriam e Andrea, quest’ultimo di appena tre mesi e mezzo.
I tempi erano duri per la famiglia Bianco, in quei primi anni a Londra. Gino non era pagato bene dall’Avanti!, guadagnava poco come giornalista free-lance, e quasi niente dalla pubblicazione di un libro, edito da Einaudi nel 1970, sul socialismo nel suo nuovo paese (La tradizione socialista in Inghilterra). Era Adriana la vera bread-winner, colei che procurava il reddito per portare avanti la famiglia; mettendo a frutto la competenza scientifica e matematica acquisita in Italia, era diventata tecnico part-time all’Imperial College di Londra. Più tardi, una volta migliorato il suo inglese, riuscì nell’arduo compito di qualificarsi come insegnante di Scienze in Inghilterra, diventando infine capo del dipartimento scientifico di una delle scuole femminili più prestigiose di Londra. La famiglia visse qualche anno in un appartamento affittato a Highgate, nel nord di Londra, prima di riuscire a comprare una graziosa casetta, con un bel giardino all’inglese, nello stesso quartiere. Il mio ricordo principale di queste case dei Bianco sono le cene conviviali a base di ottimo cibo italiano, molto vino e conversazioni stimolanti con Gino, Adriana e la loro cerchia di amici di Londra, in continua espansione.

Un altro ricordo indelebile di quel primo periodo è quando Gino, una sera a Highgate, mi parlò di Andrea Caffi (1887-1955), il suo eroe intellettuale, di cui non avevo mai sentito parlare prima. Con grande reverenza, Gino mi aveva mostrato un faldone di carte e documenti -che includeva, credo, alcune lettere scritte da Caffi- e mi aveva detto che stava scrivendo un libro su questo grand’uomo e sulle sue idee. Sarebbe poi stato pubblicato da Lerici nel 1977, col titolo Un socialista "irregolare”: Andrea Caffi, intellettuale e politico, con la prefazione di Alberto Moravia. Sono stato contento di sapere che il libro viene ora ristampato in Italia, così da mettere una nuova generazione italiana in condizione di meglio comprendere le sue importante intuizioni sul socialismo libertario e il ruolo della cultura e dell’educazione, in totale opposizione al totalitarismo e alla violenza.
Come discepolo di Caffi e Chiaromonte, Gino aveva poco tempo per le manovre e le pugnalate alle spalle tipiche della politica di partito italiana dei tardi anni Sessanta, e specialmente delle infinite manovre della sinistra non comunista. Da Londra, guardava divertito ai tentativi fallimentari dei Socialisti di Nenni e dei Socialdemocratici di Saragat di mettere insieme un partito unitario, dilettandosi a spiegarmi perché la presunta fusione sarebbe poi finita in un’astiosa separazione, a metà del 1969. Successivamente, Gino avr ...[continua]

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