I
La Fondazione intende portare avanti una ricerca, una riflessione e un impegno culturale e civile sui temi che emblematicamente ci vengono ricordati dal percorso umano ed esperienziale di Alfred Lewin.

II
Alfred Lewin, giovane ebreo tedesco, fu militante del Bund deutsch-judischer Jugend, l’Associazione giovanile ebraica berlinese. Nel 1936 Alfred, la sorella Lissi e la madre Jenny fuggirono dalla Germania in preda al nazismo, e ripararono in Italia. Alfred, appassionato e portato allo studio delle lingue, si preoccupò che la sorella Lissi ne imparasse. Al sopraggiungere delle leggi razziali si prodigò per convincere la sorella a riparare in Inghilterra. Lissi partì nel 1939 e raggiunse Manchester. Nel ‘40 Alfred fu fermato e mandato al confino nell’Italia del Sud. Nel ‘42 fece richiesta di essere avvicinato alla madre, rimasta al nord, ormai indigente e assai ammalata. Chiese cioè di andare nella direzione sbagliata (molti degli ebrei rinchiusi nei campi del sud si salveranno). Riunitosi alla madre in un campo di confino del pesarese, furono entrambi incarcerati nel ‘44 a Forlì. Nel settembre del ‘44 furono fucilati da fascisti italiani e SS tedesche, insieme ad altri sedici ebrei ed ebree, a pochi giorni dallo spostamento del fronte. Nel novembre Forlì fu liberata. Le salme, gettate in un cratere di bomba, furono riesumate nel ‘46 e sistemate nel cimitero monumentale in loculi appartati e anonimi. Solo nel ‘94, grazie all’impegno di alcuni cittadini, trovarono degna sepoltura e la città di Forlì ricordò finalmente la strage. La sorella Lissi, che prima della fine della guerra aveva sposato a Manchester un antifascista tedesco e dato alla luce una figlia, malgrado tutte le ricerche, non riuscì a sapere nulla di preciso; tornata a vivere nella Germania, quella dell’Est, solo nel 2000 conoscerà il luogo e le modalità della scomparsa del fratello e della madre. Nel frattempo viaggiare per l’Europa era di nuovo possibile e dopo 57 anni dal giorno del distacco dalla madre e dal fratello Lissi potè visitare la loro tomba. Nel 2002 Lissi Lewin darà il suo consenso alla costituzione della fondazione Alfred Lewin.

III
La fondazione persegue le seguenti finalità:
1) Operare affinché, col passare del tempo e il succedersi delle generazioni, il ricordo della Shoà e della catastrofe causata in Europa dal razzismo non si offuschi nella ritualizzazione o nella convinzione della sua irripetibilità. Nelle nostre società, pur avanzate economicamente e socialmente, si assiste al risorgere di razzismo e xenofobia, anche se sotto nuove forme, più culturaliste che biologiste, ma non per questo non pericolose. Vicino a noi, nei Balcani e in Algeria, il nazionalismo etnico e il fondamentalismo religioso hanno insanguinato la fine del XX secolo. Il nome di Srebrenica si è impresso nella coscienza di tanti.
2) Operare, a partire dalla propria realtà, affinché i diritti umani (così come affermati nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e negli altri standard internazionali sui diritti umani) e i diritti di cittadinanza non vengano mai offesi e messi in pericolo. Occorre ricordare che la limitazione dei diritti di cittadinanza per un gruppo umano è il primo varco al diffondersi dell’odio etnico o razziale. La cittadinanza, altresì, può entrare in crisi anche solo perché la società cambia. Si affermano identità plurali e comunità intermedie fra lo Stato e il cittadino. In questa situazione, e nella prospettiva di un’Europa finalmente unita, la costruzione di un modello inclusivo di cittadinanza, in cui universalismo e rispetto delle differenze possano intrecciarsi è all’ordine del giorno. Il sentimento cosmopolita -così forte spontaneamente nei giovani- è garanzia contro ogni forma di razzismo, di nazionalismo, di fondamentalismo.
3) Operare affinché non vada dimenticata, soprattutto fra i giovani, la tradizione del pensiero cooperativista e libertario (a cui proprio la Romagna ha dato un così significativo contributo) che aveva come tratti caratteristici la grande pluralità di idee, di esperienze e la presenza di straordinarie figure di pensatori e militanti, che pur nell’appassionata scelta di parte, consideravano la libertà intellettuale un bene inalienabile. L’ideale di coniugare libertà e uguaglianza, spirito di iniziativa individuale e cooperativismo non tramonta. In una società globalizzata, dove si incrinano le sicurezze di un tempo, sia la chiusura comunitaria che l’esasperata competizione aggravano i problemi delle persone. Le donne e gli uomini non possono vivere senza libertà ma neppure senza mutualismo, solidarietà, socialità e condivisione dei rischi della vita.
4) Operare per valorizzare tutte le "buone pratiche” fondate sulla partecipazione democratica dei cittadini. La democrazia deve fare affidamento sulla capacità di autonomia e di autogestione dei cittadini, se non vuole inaridirsi in stanchi rituali o cedere il passo a potenti oligarchie.