Come nasce la biblioteca e cosa si propone
L’idea di una biblioteca pubblica comincia ad apparire realistica ai sottoscrittori della Fondazione Lewin, che già possedeva una cospicua raccolta di testi riguardanti la Shoà, quando da un suo fondatore, Gino Bianco, giornalista e militante socialista (fu corrispondente dell’Internazionale socialista per più di vent’anni da Londra) ha ricevuto in eredità gran parte della biblioteca di cultura politica; l’archivio personale, comprensivo dei verbali, tuttora inediti, delle riunioni del bureau dell’Internazionale; una raccolta molto importante di carte, tuttora inedite, di Andrea Caffi (personaggio tanto importante quanto misconosciuto; intellettuale raffinato e socialista libertario militante, conobbe le carceri zariste, leniniste e naziste); circa 200 numeri, molto rari, di Giustizia e libertà settimanale, degli anni della guerra di Spagna. Altra spinta a credere nel "progetto biblioteca” ci è venuta dall’entusiastico incoraggiamento da parte di Miriam Rosenthal, vedova di Nicola Chiaromonte, che dona alla futura biblioteca una collezione (rara per l’Italia) di Politics, la rivista americana su cui scrivevano oltre a Chiaromonte e Caffi, Hannah Arendt, Simone Weil, Albert Camus e una raccolta di libri appartenuti ad Andrea Caffi; dopo la sua morte la Fondazione ha ricevuto, inoltre, in eredità, una parte consistente della biblioteca di Nicola Chiaromonte.
Quindi la biblioteca, intitolata a Gino Bianco, è una biblioteca di cultura politica, mirata ai seguenti campi:
-al problema della memoria e della riflessione sui genocidi del 900, a partire dalla Shoà, con l’obbiettivo prioritario di rendere il ricordo "vivo”, "vitale”, agli occhi dei giovani;
-a quella che noi abbiamo chiamato "l’altra tradizione”, la tradizione non marxista del movimento operaio. A questo riguardo una particolare attenzione la biblioteca vuol dedicare alle riviste militanti "minoritarie”, avendo in animo di impostare un lavoro, rivolto soprattutto ai giovani, di divulgazione, ma anche di riflessione e attualizzazione. A tal proposito la futura biblioteca ha già ricevuto le donazioni delle collezioni complete de La Voce di Prezzolini, de Il mondo di Pannunzio, de Il tempo presente di Silone e Chiaromonte, de Il ponte di Calamandrei, dei primi vent’anni di Critica Sociale; ha inoltre acquisito la collezione de L’unità di Salvemini, assai rara.
-alle tematiche dei diritti i cittadinanza in Italia e in Europa, ai diritti umani nel mondo, alle buone pratiche di cittadinanza fondate sulla partecipazione democratica attiva dei cittadini, e in generale, sui problemi sociali, demografici, geopolitici che si intrecciano coi problemi della cittadinanza e della vitalità di una democrazia;
-in quarto luogo la biblioteca si propone di raccogliere un’audioteca; lo stimolo a questo le deriva in primo luogo da un dato pratico: la donazione alla Fondazione dell’intero archivio audio della rivista Una città (circa 2000 interviste ben conservate per un totale di circa 2000 ore di sonoro); in secondo luogo dalla considerazione, che condivide con i redattori della rivista "Una città” (essendo essi, fra l’altro, tutti sottoscrittori della Fondazione) dell’importanza dello strumento dell’intervista e, in particolare, dell’intervista lunga, caratteristica più della "storia orale” che del giornalismo. Vale per tutti, pensiamo, riportare l’apprezzamento per il lavoro della fondazione espresso da Vittorio Foa durante un’intervista audio sul tema della memoria (oggi edita in dvd dalla Fondazione): "Voglio cogliere questa occasione per dire l’originalità del modo in cui voi avete risuscitato una memoria. Non avete soltanto riprodotto una memoria, l’avete fatta rinascere facendo emergere anche gli affetti a essa collegati, e che potevano essere sopiti, rimossi dal tempo e anche dall’opera infame degli uomini che avevano collaborato col tempo nell’opera di rimozione. Questo mi fa venire in mente un aspetto della vostra esperienza che ha a che fare, in qualche modo, con il problema del ricordo, ed è il vostro modo di fare delle lunghe interviste. Ecco, è questo che mi colpisce: la lunghezza non è solo una caratteristica fra altre di un modo di fare interviste, è un’altra cosa, è la richiesta di una valutazione nei tempi lunghi. Si chiede a qualcuno non soltanto di dire quello che pensa, ma di pensarlo in tempi lunghi. Ora, a mio giudizio, il sollecitare i tempi lunghi è decisivo. Noi siamo tutti inchiodati al ...[continua]

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