Marco Bobbio è stato primario della Cardiologia dell’ospedale Santa Croce e Carle di Cuneo. Da tempo si interessa di metodologia della ricerca e clinica e, come spiegato anche in una precedente intervista per "Una Città”, apparsa nel 2010, dei medici, più che dei pazienti. Ha pubblicato diversi volumi: Leggenda e realtà del colesterolo. Le labili certezze della medicina, Bollati Boringhieri, 1994, Rischiare di guarire. Farmaci, sperimentazione, diritti del malato, Donzelli, 2005 (scritto con Stefano Cagliano), Giuro di esercitare la medicina in libertà e indipendenza, Einaudi, 2004, e Il malato immaginato. I rischi di una medicina senza limiti, Einaudi, 2010.

Lei è stato tra i promotori di Slow Medicine, un’associazione che promuove una "medicina sobria, rispettosa e giusta”. Può raccontarci di più di questa iniziativa?
L’associazione Slow Medicine nasce in Italia nel 2011 come un movimento d’idee per riportare i processi di cura nell’ambito dell’appropriatezza e di una relazione di ascolto, di dialogo e di condivisione delle decisioni con il malato. 
L’idea si è sviluppata intorno alla considerazione dei grandi progressi ottenuti dalla medicina negli ultimi decenni, che hanno però spostato l’interesse dei professionisti dalla persona ammalata all’applicazione indiscriminata della tecnologia e che hanno provocato la medicalizzazione della vita quotidiana.
La filosofia di Slow Medicine è sintetizzata da tre parole chiave: sobria (una medicina che offra tutte le cure necessarie, ma non imponga trattamenti che non garantiscono benefici per i pazienti, dilatando oltre il ragionevole le aspettative di guarigione), rispettosa (una medicina che tenga conto delle esigenze, aspettative e valori di ogni paziente), giusta (una medicina che garantisca cure appropriate per tutti).
L’associazione si è diffusa in ambito nazionale e internazionale cogliendo le istanze di cambiamento di quei professionisti della salute, pazienti e cittadini, che non si riconoscono in una medicina aggressiva, condizionata dall’industria e da interessi economici spesso in contrasto con la tutela della salute. Slow Medicine si batte contro il paradigma dominante secondo cui il nuovo è sempre meglio del vecchio e che fare di più garantisca migliori risultati.
Il modello culturale dominante di tipo riduzionista considera l’uomo come una macchina, le cui cure sono affidate a un numero crescente di specialisti che ragionano come il Dr. House: "Ho studiato medicina per curare le malattie, non i malati”.
Slow Medicine adotta invece l’approccio sistemico: salute e malattia sono fenomeni complessi e la vita di una persona è più della somma delle reazioni chimiche che si producono nelle sue cellule.
Sul piano operativo, Slow Medicine con Altroconsumo coordina il progetto italiano di Choosing Wisely, in analogia a quello avviato negli Usa, volto a impegnare le società scientifiche a individuare le pratiche a rischio di inappropriatezza, con lo scopo di ridurre il sovra-utilizzo di esami che espongono i pazienti a inutili rischi; ha inoltre promosso il progetto della rete degli Ospedali Slow per coordinare tutte quelle iniziative che vengono intraprese per migliorare la comunicazione tra il personale, i pazienti e i parenti e per evitare procedure inutili.
Nel suo libro definisce una categoria particolare di pazienti-non-pazienti: i "sani preoccupati”. Può dirci a chi si riferisce?
I medici hanno diffuso l’idea che qualunque malattia possa essere evitata e che sintomi banali siano in realtà l’espressione di una malattia grave agli esordi, in parte con l’encomiabile intento di aiutare le persone a stare meglio e a evitare le malattie, in parte per espropriare le persone dal controllo della propria salute con l’intento di renderle dipendenti dal potere della medicina e infine, in modo meno nobile, per sostenere interessi particolari: vendere servizi, farmaci, esami di laboratorio, tutori, strumentazioni diagnostiche (quanti apparecchi per misurare la pressione arteriosa ci sono nelle case degli italiani?).
Come ho già detto, la medicina ha anche diffuso l’idea che il corpo umano si comporti come un’automobile: se eseguo ogni sei mesi un tagliando eviterò di rimanere fermo per strada. Perché allora non dovrei fare lo stesso con il mio corpo sottoponendomi a periodici checkup? Tutti questi concetti hanno diffu ...[continua]

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