Antonella Marsala, dirigente e project manager di Anpal servizi Spa, da anni si occupa delle tematiche dei servizi e delle politiche per il lavoro.

Abbiamo un problema con la maternità in questo paese?
In questo paese abbiamo un problema che riguarda la maternità a cui bisognerebbe prestare attenzione, perché ha un impatto diretto sulla demografia e quindi sui sistemi di welfare e sulla crescita economica. Noi diventeremo un paese di vecchi, le ­proiezioni lo confermano, ma l’argomento non è all’ordine del giorno.
Al contrario, altri paesi europei, a cominciare dalla Germania, stanno cercando di capire come affrontare la situazione, e le stesse politiche di accoglienza degli immigrati hanno molto a che fare con i tassi di natalità che non si riescono ad alzare.
I problemi della maternità si portano dietro anche alcuni aspetti di carattere culturale molto forti. Non è semplicemente un problema di sicurezza, di reddito. La maternità è sempre più posticipata, a prescindere dalle condizioni economiche. Bisogna capire cos’è successo: quali sono le sicurezze, le insicurezze e le aspettative che inducono le persone a non fare bambini. Il problema è complesso e andrebbe affrontato con una strategia che metta insieme più interventi. Parliamo dei servizi per esempio. La situazione italiana è a macchia di leopardo: ci sono regioni in cui servizi ci sono, sia pubblici che privati. Ci sono regioni in cui ci sono le strutture ma non vengono usate. Costano, anche tanto, e spesso hanno orari un po’ rigidi, specie se pubblici. La flessibilità è un costo aggiuntivo per le famiglie. Gli investimenti hanno riguardato soprattutto i nidi, quando è ormai sempre più evidente che i bisogni riguardano anche i bambini più grandi, almeno fino ai 12 anni. In molte regioni i servizi, invece, semplicemente non ci sono.
Con la riforma della Buona scuola, anche la fascia 0-3 anni entra a pieno titolo nel ciclo d’istruzione diventando un servizio universale. Questo implica che ci dovrebbero essere asili nido per tutti i bambini indipendentemente dal fatto che siano figli di persone che lavorano o meno. È una buona notizia. Andare all’asilo nido non è un problema di parcheggio dei bambini, ma un fatto educativo che dovrebbe essere offerto a tutti.
La relazione tra occupazione e maternità è controversa. Dagli ultimi studi emerge come al Sud le donne che non lavorano non fanno neanche i figli. Possiamo allora dire che le donne più lavorano e più fanno figli?
No, non c’è una corrispondenza diretta tra occupazione e maternità. Possiamo dire che c’è una corrispondenza tra donne occupate con livelli di studio alti e maternità. La vera differenza la fa il titolo di studio rispetto alla permanenza nel mercato del lavoro. Questo è un dato assodato: più la donna è istruita, più in qualche modo è orientata a una realizzazione anche in campo lavorativo e personale. La vera sfida per questo paese dovrebbe essere quella di mettere le donne nelle condizioni di scegliere se fare la mamma, se lavorare o fare entrambe le cose, anche con tempi differenziati. Dando priorità nel tempo anche a interessi diversi.
Ormai da cinque anni stiamo monitorando (e anche realizzando) iniziative che promuovono l’occupazione femminile come fattore strategico per lo sviluppo del paese. Ribadisco che il nostro paese ha situazioni molto diverse: in alcune regioni ci sono tassi di dispersione scolastica molto alti che vanno contrastati e aree metropolitane come Milano in linea con le percentuali europee, dove si registrano fenomeni nuovi sull’occupazione femminile e la maternità di grande interesse. Bisogna puntare soprattutto sull’istruzione. Già oggi le donne che studiano sono più degli uomini e sono anche più brave; dovrebbero iniziare a scegliere anche professioni tecniche che di solito sono prerogativa dei maschi. Per quanto riguarda l’occupazione femminile, oggi è un problema che riguarda fondamentalmente il Mezzogiorno. Quando invece l’occupazione c’è, il problema riguarda i salari (che sono bassi e spesso non coprono il costo dei servizi) e i percorsi di carriera all’interno delle aziende, il cosiddetto fenomeno della "segregazione verticale”.
Cosa significa segregazione verticale?
Significa che non sali e anche quando sali guadagni meno del tuo omologo maschile. Devo dire che, tutto sommato, in Italia la situazione non è così terribile, però c’è anche questo problema.
Sul piano della conciliazione qual è la situazione?
Spesso di ...[continua]

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