ll progressivo invecchiamento della popolazione sta portando a un aumento dei disturbi cognitivo-comportamentali di natura neurodegenerativa, in particolare della demenza. Può raccontare?
Voglio partire da un aneddoto personale. Recentemente ho avuto un grosso incidente e ho dovuto sottopormi a un intervento chirurgico. È stata la prima volta in cui mi sono trovato "dall’altra parte” e posso assicurare che, per quanto sia sempre preferibile che queste cose non succedano, per me è stata un’esperienza ricchissima. Ho imparato tantissime cose, ho imparato come la tecnica e la relazione dovrebbero andare insieme e come invece spesso non ne siamo capaci: o siamo bravi tecnici ma incapaci di relazione o bravi ciarlatani che ti danno tante pacche sulle spalle ma poi casomai ti rovinano.
Parlando con alcuni colleghi che sono venuti a trovarmi in ospedale, dicevo: "Bisognerebbe trovare un modo per far capire ai giovani studenti di medicina cosa vuol dire essere dall’altra parte, cosa vuol dire la solitudine, la mancanza di informazione, la paura”. Io ero ricoverato in un ospedale dove lavorano circa venti miei allievi eppure la paura che uno prova la sera prima dell’intervento...
Vengo però alla domanda. Io dico sempre che la demenza è ancora un mistero e quindi bisogna avvicinarsi con prudenza. Io ho ancora sulla coscienza il fatto che dieci anni fa andavo in giro dicendo: "In dieci anni troveremo una risposta per demenza e Alzheimer” e oggi non tollero i venditori interessati di illusioni. Di qui il mio invito alla prudenza, che non è pessimismo. Una soluzione la troveremo, ma con la dovuta prudenza e pazienza.
Per questo, nella quotidianità, dobbiamo prestare grande attenzione e cura ai piccoli guadagni, gli "small gains”. Purtroppo le piccole conquiste sono proprio ciò che noi operatori, medici, infermieri psicologi, operatori del sociale, spesso non siamo in grado di valutare e apprezzare. Io ho ancora ben presente la soddisfazione provata il giorno in cui, dopo l’incidente, sono diventato autonomo da mia moglie per fare la doccia, per qualcuno sarà una sciocchezza, e invece... Ecco, non c’è attenzione per gli small gains, ma per una persona affetta da demenza riprendere ad allacciarsi le scarpe, riacquistare un minimo di autonomia nel mangiare, grazie a interventi sia farmacologici che psicosociali, è importantissimo. Dobbiamo prestare attenzione a questa dimensione, migliorando i servizi, agendo all’interno di questi, curandone la diffusione, curando la formazione degli operatori.
Occuparsi dei piccoli guadagni non è un’attività di retroguardia. Oggi è forse l’attività più nobile, sia che lo facciamo organizzando i servizi attraverso il magistero della politica, sia che agiamo come educatori in una struttura residenziale.
Bisogna sempre guardare al qui e ora, rispondendo con il massimo delle indicazioni fornite dalla scienza, e conservando un equilibrio tra il pessimismo attendista e l’impegno ad accompagnare. L’impegno ad accompagnare richiede anche dell’ottimismo.
Il numero totale dei pazienti con demenza è stimato in oltre un milione, ma poi ci sono i tre milioni di persone direttamente o indirettamente coinvolte nell’assistenza dei propri cari.
Su uno degli ultimi numeri di "Lancet Neurology” sono stati pubblicati dei dati relativi al tempo di sopravvivenza alle varie età per diverse malattie. Nel caso della demenza dai 75 agli 84 ci sono cinque anni di sopravvivenza media (nel cancro si parla di 2,8 anni). Già questo ci dice di una dimensione drammatica del problema. Ma il dato che mi ha fatto ancora più impressione è che, dagli 85 anni in su, la persona affetta da demenza ha 3,8 anni di sopravvivenza. Parliamo di una quantità di t ...[continua]
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