Bruno Luverà, giornalista, ha pubblicato Oltre il confine. Regionalismo europeo e nuovi nazionalismi in Trentino Alto Adige, Il Mulino 1996 e, recentemente, per gli Editori riuniti, I confini dell’odio.

La vittoria di Haider può essere considerata un fenomeno isolato?
Io ritengo che Haider non sia un fenomeno isolato perché oggi in Europa è in corso di formazione una nuova famiglia politica, i cui tratti comuni sono un forte populismo, che significa leaderismo, richiamo diretto al popolo e antipartitocrazia, una fede liberista in economia, e soprattutto l’etnonazionalismo. Di questa famiglia politica fanno parte l’austriaco Haider, Bossi, il bavarese Stoiber, e Dillen, il leader del Blocco Fiammingo in Belgio.
L’etnonazionalismo, che ha avuto la sua espressione massima nei Balcani, non è però un fenomeno circoscritto a quell’area geografica, quasi fosse connaturato con la storia di quei popoli. All’interno dell’Unione Europea esso assume la forma di un nuovo regionalismo, sviluppatosi negli ultimi dieci anni, dopo il crollo del Muro di Berlino. Nel nuovo regionalismo europeo ci sono due correnti: il regionalismo autonomista della Svp in Alto Adige o di Pujol in Catalogna, che hanno come idea-guida quella dell’autonomia dinamica, con l’acquisizione di sempre maggiori competenze per arrivare a forme forti di autogoverno, senza però che si arrivi a mettere in discussione la lealtà rispetto allo Stato nazionale, se non in una prospettiva lontana (per esempio, il diritto di autodeterminazione viene posto come valore, ma non se ne chiede l’esercizio immediato). L’altra corrente è quella, invece, micronazionalista, secondo la quale la regione diventa sinonimo di nazione, di piccola nazione, di piccola patria, e il richiamo alla regione serve per creare dei meccanismi di esclusione, serve per innalzare dei muri attorno a un luogo molto facile da controllare, potenzialmente più sicuro, in cui il criterio fondante la cittadinanza è quello dell’omogeneità etnica. Si rifiuta quindi lo Stato nazionale etnicamente eterogeneo, a favore di un’Europa delle Regioni, che frammenta gli Stati nazionali e rimette in discussione i confini e le frontiere. La filosofia degli etnofederalisti, a livello istituzionale, prevede infatti la nascita di una federazione europea, in cui al posto delle nazioni ci siano Stati regionali fondati sull’omogeneità etnica. Il grande nemico degli etnofederalisti è allora la società multiculturale perché, secondo loro, è la fonte primaria dei conflitti interetnici. Altro nemico è lo Stato nazionale, soprattutto perché lo Stato nazionale liberale, nella forma storica in cui si è sviluppato nel mondo, è sostanzialmente eterogeneo, nel senso che vi convivono cittadini che possono appartenere anche a nazionalità diverse. Infatti, la priorità viene data al diritto dell’individuo e non al diritto del gruppo. Il federalismo etnico invece assegna la priorità ai diritti dei gruppi, per cui l’individuo si realizza pienamente solo all’interno della propria comunità.
La questione dell’immigrazione è al centro della propaganda di tali partiti...
La questione dell’immigrazione è assolutamente enfatizzata perché consente, da una parte, di ricollocare al centro del dibattito politico tutta una serie di termini come etnia, popolo, identità, minoranze, e dall’altra, di etnicizzare anche le questioni sociali, le questioni del lavoro, dell’occupazione, della sicurezza. A quel punto, la soluzione di questioni sociali passa attraverso la questione nazionale declinata in chiave regionale. Il messaggio etnico diventa diretto e fa presa soprattutto sui ceti medi, che in questa fase storica hanno paura del diverso che arriva, perché lo vedono come una minaccia, non solo fisica, ma anche al benessere economico raggiunto. Una delle differenze tra il regionalismo micronazionalista degli anni ’90 e il revival regionalista degli anni ’70 è che mentre vent’anni fa il regionalismo interessava zone periferiche dell’Europa, povere e depresse, in cui il divario fra centro e periferia era soprattutto un divario economico, la Scozia, la Corsica, i Paesi Baschi, oggi il regionalismo micronazionalista interessa zone ricche dell’Europa, in alcuni casi di una ricchezza recente, come il Veneto, dove, però, è ben presente la memoria per un passato prossimo di povertà e di emigrazione.
Si era pensato che l’esito delle elezioni europee, che aveva visto la sconfitta di pressoché tutti questi movimenti micronazionalisti e populisti, assieme all ...[continua]

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