Nell’intervista che ci concesse alcuni mesi fa, Vidal Naquet aveva accennato a questo libro, Ordinary men, di Cristopher Browning, come al testo più importante se si voleva affrontare il problema della "banalità del male". Disse anche che si sarebbe adoperato per tradurlo in francese e che tu l’avevi sicuramente letto e consigliato a qualche casa editrice per la traduzione italiana. Da qui l’idea di parlarne con te…
Anche se non ho nessuna competenza per farlo perché questo è un campo di studi in cui non solo si affrontano problemi estremamente complessi di ordine morale, politico, scientifico, ma su cui c’è anche un’enorme bibliografia in molte lingue, mi fa piacere parlare del libro di Christopher Browning (Ordinary Men. Reserve Police Battalion 101 and the Final Solution in Poland, New York, Harper Perennial, 1992) il cui titolo in italiano potrebbe essere "gente comune" e il cui sottotitolo è Il battaglione di riservisti 101 di polizia e la soluzione finale in Polonia, perché è un libro importante e perché mi auguro che esca presto in italiano. Ne avevo proposto la traduzione a Einaudi ma per ora non è successo niente. L’edizione francese ha già avuto una ristampa. Evidentemente il pubblico francese ha colto l’eccezionalità di questa ricerca e io spero di dare un minimo contributo anche ad una traduzione italiana.
Mi sono imbattuto in questo libro qualche anno fa all’Università di California, a Los Angeles, dove insegno, a un convegno organizzato da Saul Friedlander, una delle massime autorità internazionali sulla storia dello sterminio degli ebrei, di cui è uscita in italiano l’autobiografia, A poco a poco il ricordo, tradotta da mia madre, e che adesso sta scrivendo un’opera di grande respiro su questo tema. Il convegno di Los Angeles non era esattamente sulla storia dello sterminio, ma sul rapporto fra la storia dello sterminio e il problema dei limiti della rappresentazione. L’idea era quella di stabilire un dialogo con le tendenze storiografiche, filosofiche e letterarie che si pongono il problema dei limiti della rappresentazione e che hanno sostenuto (in ambito storiografico ma non solo) che non è possibile tracciare un limite netto tra storiografia e finzione, sfidandole a misurarsi col tema dello sterminio. Fu in quella circostanza che sentii la comunicazione di Browning, che era un’anticipazione del libro. Mi fece un grande effetto e chiesi a Browning di poter leggere il libro dattiloscritto.
Il libro esamina il comportamento di un battaglione di polizia, non soldati professionali, non SS, formato tutto da riservisti, cioè da persone richiamate, di mezza età quindi, che vengono all’improvviso coinvolte nello sterminio degli ebrei in Polonia, nel ’42-’43. Il materiale su cui Browning ha lavorato è in gran parte giudiziario, i processi ad alcuni dei membri di questo battaglione.
Il tema del libro è quello annunciato dal titolo, cioè come delle persone che non erano né soldati professionisti, né appartenenti a truppe speciali e nemmeno militanti particolarmente fanatici si trasformino in professionisti dello sterminio. In cifre, si tratta di circa 500 persone che in un periodo di poco più di un anno, oltre a deportare nel lager di Treblinka più di 45000 ebrei, ne ammazzano come minimo 38000: un eccidio spaventoso. E’ possibile seguire in maniera molto minuta le tappe della strage.
Le implicazioni di questa ricerca vanno molto al di là dell’ambito circoscritto, cioè l’analisi dell’azione di questo battaglione. Ma l’atteggiamento di Browning è molto sobrio, non c’è enfasi. Di fronte alle cose terribili che racconta egli ha scelto, e mi pare giustamente, di non indignarsi ad ogni riga, perché altrimenti, dopo la terza riga, non avrebbe avuto più parole e questo il lettore lo capisce immediatamente.
C’è un atteggiamento distaccato, non freddo, ma sobrio, e, tranne che nell’introduzione e nell’ultimo capitolo, non c’è neanche un tentativo di trarre le implicazioni più generali.
Una delle cose che colpiscono è che in realtà qualcuno, all’inizio, dice che non se la sente di partecipare all’eccidio, materialmente. Non è che si rifiuti di essere coinvolto in qualche modo, ma evidentemente c’è una differenza, sul piano della resistenza psicologica, tra partecipare direttamente alla strage e guidare il camion.
Qualcuno si rifiuta e in realtà non succede niente e questo colpisce, perché dimostra che una qualche forma di resistenza in teoria sarebbe stata possibile. Forse, se la cosa avesse ...[continua]

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