Umberto Croppi, di professione pubblicitario, è stato a lungo nel Msi, ricoprendo incarichi direttivi a livello nazionale. Tre anni fa ne è uscito e oggi aderisce alla Rete.

Tu hai militato per molti anni nel Msi, hai partecipato alla nascita della Nuova Destra ed ora militi nella Rete...
Non attribuisco particolare valore alla coerenza, conosco bellissime figure di incoerenti, però ho sempre sentito un filo unitario nella mia esperienza. Sono stato ventitre anni, cioè da quando ero ragazzino, nel Msi e nelle varie componenti della destra, anche se credo molto poco al significato sostanziale di queste categorie, ma ho sempre vissuto questa esperienza in modo stravagante: come me, infatti, tanti altri hanno vissuto il mio tipo di esperienza come una esperienza rivoluzionaria, anticonservatrice, di sinistra, che poi i vari Almirante spendevano a destra. Quando, dopo molti anni di travaglio, ho capito che la mia era una pia illusione, che il segno preminente di quel mondo era opposto a quanto volevo, ho dovuto attuare una rottura netta -nonostante tanti consolidati rapporti personali di amicizia, di stima, di affetto- per dare significato alla quale non bastava che io uscissi dal Msi, ma occorreva anche che, contestualmente, entrassi in un’altra area, soprattutto per marcare anche simbolicamente il fatto che la mia esperienza conduceva da un’altra parte rispetto al Msi. Io ho cominciato, quattordicenne, a fare politica negli anni ’70, cioè quando un certo scontro si andava radicalizzando, ed ho subito totalmente, sul piano personale, la ricaduta di questo scontro e la radicalizzazione che esso comportava. Già nel ’75, però, sentivo il peso delle contraddizioni fra il mio modo di essere e quel che era il partito in cui militavo, tant’è che avevo deciso di uscire dal Msi, ma una serie di trappole psicologiche e politiche mi hanno trattenuto. Nel ’76 ci fu la scissione di Democrazia Nazionale, che per me rappresentava il conservatorismo, il moderatismo, il liberismo, cioè la contraddizione rispetto ad una posizione che io ritenevo più autentica. Fu quella la fase della corrente Linea Futura di Rauti, in cui conobbi tanti di quelli che, come me, vivevano male la loro pratica politica. Ognuno di noi, non conoscendoci a vicenda, credeva che certe crisi fossero solo un fatto personale, mentre eravamo una generazione di ventenni che aveva gli stessi problemi, che faceva le stesse letture stravaganti rispetto al nostro mondo, che coltivava quasi come una perversione l’interesse per la musica rock. Il “fenomeno Tolkien”, che allora scoppiò anche a sinistra, fu una delle cose che ci identificò e ci fece scoprire tutto questo come un patrimonio comune. E’ stato questo il terreno in cui maturò la consapevolezza che la destra italiana non produceva un’idea da anni, probabilmente mai l’aveva prodotta, e ci portò a sentire il contenitore del neofascismo come una cosa ridicola, sia nei suoi aspetti esteriori, sia nel suo non essere spendibile politicamente.
Insieme cominciammo a fare letture eterogenee, a cercare di elaborare idee nuove e ci mettemmo su un percorso che ci ha segnato profondamente. Nei due-tre anni successivi promuovemmo, all’interno di quel contenitore, varie iniziative autonome: case editrici, circoli culturali, gruppi musicali, riviste, cominciammo a scrivere i nostri libri e a focalizzare i nostri terreni di ricerca.
E’ di quegli anni la nascita de “La voce della fogna”, che è stata la capostipite di tutte le iniziative successive, e di “Diorama letterario”, che ancora esiste. Tutto questo portò inevitabilmente a una serie di collisioni: la prima, interna al Msi, fu la rottura con Rauti, cioè col contenitore che ci aveva giustificato e ci aveva dato una identità particolare all’interno della più grande identità del Msi. Per molti, subito dopo, ci fu la rottura proprio col Msi: Marco Tarchi, che era un punto di riferimento, fu espulso dal Msi, ma se ne sarebbe andato comunque. La scusa per espellerlo fu una serie di articoli satirici apparsi su “La voce della fogna” (era materiale che avevamo preparato per “Il male” a cui chiedemmo di fare un finto numero del “Secolo d’Italia”, ma “Il male” ci snobbò), ma i motivi erano sostanziali: eravamo contro la campagna per la pena di morte condotta da Almirante ed inoltre era via via maturata una diversa visione, una rilettura della società su basi diverse. Il tema del regionalismo, che oggi è di strettissima attualità, fu per esempio uno dei nostri ...[continua]

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