Quando giungo a quel punto, quando vado in tilt, e anche questa volta è stato così, decido e senza tante storie le chiedo: "Se vengo mi prendi?".

Raggiungere Annalena: quella è l’unica maniera per me di affrontare le mie crisi esistenziali, crisi che hanno a che fare con la mia vita di tutti i giorni e col mio carattere, che è bruttissimo. La conosco da moltissimi anni e sono sicura che lei mi accetta come sono, che non ha quegli schemi nei quali io non rientro molto. Tante volte, per il fatto che mi comporto in un certo modo qui mi fanno sentire diversa e, anche se non mi interessa molto, mi dà disagio. Allora nei momenti difficili vado. Tutto qui. Andare da lei è sempre un’esperienza molto forte, ma per me non rappresenta certo la realizzazione di una qualche vocazione, è solo la risposta a domande che ho dentro. E mi fa recuperare quello che mi manca. Quando vado in crisi so che qui devo staccare...

Certamente quando parto so bene che la sua è una dimensione per la quale è difficile essere adeguati, so bene quale genere di vita mi attende e conoscendo bene i miei limiti, ogni volta che parto la domanda che mi accompagna è la stessa: "Fra otto giorni sarò già di ritorno?".
Annalena è innamorata del popolo somalo. Sta lì da 22 anni.

Andando via Siad Barre, si sperava che le cose sarebbero andate subito per il meglio, ma c’è stato un enorme impoverimento e le due fazioni che hanno vinto la rivoluzione ora si stanno scannando fra loro. Sembra proprio che per i poveri le cose non cambino mai. E’ il mistero del male: sembra che chi ha di più, faccia prima ad avere di più ancora e chi ha di meno rimanga sempre con meno. Ci si chiede quando mai verrà il momento... Annalena quando è scoppiata la guerra era in Italia per motivi familiari, l’hanno scongiurata di non partire, ma non c’è stato nulla da fare, è una donna che non si ferma, anche se politicamente non prende mai nessuna posizione, perché sta sempre e comunque con i poveri, Annalena sperava tanto da questa rivoluzione e vedere che per i poveri non migliorava nulla... Annalena vive la condivisione della povertà. Lei non si ricrea in alcun modo un suo ambiente, come fanno in tante strutture. A Mogadiscio c’erano tantissime strutture internazionali, con tanti giovani, che prendevano pochissimo, andati lì con motivazioni loro, non certo, quindi, come altri, a decuplicare lo stipendio, ma anche per loro, e giustamente anche, viene ricreato un habitat che assomiglia un poco al nostro di qui. Non so, tornano a casa e hanno l’aria condizionata, hanno il frigo con le bibite, hanno l’acqua minerale. Chi va con Annalena, invece, deve accettare il suo criterio, che è quello di spendersi per gli altri, fra i più poveri fra i poveri, vivendo in povertà come loro. Non in miseria, ovviamente, perché sarebbe defunta da un pezzo, perché lì la miseria è vera, non è quella di cui parliamo qui, è una cosa spaventosa. Ma in povertà sì. Insomma, con Annalena si vive senza aria condizionata. Ora, quando ero giù io, c’erano 35 gradi all’ombra, l’acqua non c’era più perché era stato bombardato l’acquedotto, la luce anche, l’acqua che c’era non era potabile e veniva portata con l’asino. E se non ero io a farmi avanti per accaparrarne un poco... Gli ultimi giorni ricordo che c’erano i girini...

Poi lei non vive guadagnando, vive di quello che le viene mandato e ovviamente per sé tende a spendere il meno possibile. Quello che spende per sé lo considera buttato. Ha la fortuna di mangiar poco e questa fortuna l’ho anch’io. Anche qui non mangio molto e neanche ricercato perché in quello sono una frana, e quindi su questo abbiamo una buona sintonia. Insomma, si tratta di prendere con disinvoltura cose che altrimenti sarebbero terrificanti. Parto sapendo cosa mi aspetta.
Quando le ho chiesto se potevo andare questa volta non mi voleva, pensava che fosse un mettere in gioco la vita per nulla: si sparava, si doveva girare scortati, erano andati via quasi tutti, anche la Caritas. Poi ci sono anche tendenze integraliste, e finché c’è un governo regolare, si hanno dei permessi, dei lasciapassare, ma in un momento di rivoluzione, di guerra... A noi ci chiamavano "le pagane" anche se il fatto che Annalena non avesse mai preteso di far professione di fede, ma solo di darne testimonianza con la sua vita accanto ai poveri, in questo periodo l’ha protetta.

Annalena non è mai stata aggregata ad una missione, è una ...[continua]

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