Mi è capitato di sapere che successivamente al golpe in Cile del 1973 molti protestanti, tra cui un pastore svizzero e dei valdesi in Italia, hanno aiutato oppositori cileni a scappare dalle grinfie mortali della giunta di Pinochet e a stabilirsi in Svizzera. Alla fine, quelli salvati, passati dall’Italia, sono stati circa 250. A farmi conoscere la storia è stata una signora, Gloria Antezana, figlia di un attivista del partito comunista cileno che è scappato grazie a questo aiuto. Mi ha fatto il nome di Aldo Visco Gilardi. Ho telefonato ad Aldo che mi ha raccontato dell’operazione organizzata dal pastore svizzero Guido Rivoir, ormai scomparso, e della Comune di Via Montegrappa a Cinisello Balsamo. Mi ha poi fatto il nome di Toti Rochat che sono andato a intervistare in Valle Angrogna. La storia mi ha coinvolto molto, la dedizione agli altri mi è sembrata straordinaria. Mi piacerebbe che questi fatti fossero conosciuti.
In queste pagine segnalo il libro di Rivoir dedicato all’organizzazione dell’operazione e il volume Cile, carcere, tortura, esilio, testimonianze di profughi cileni transitati dalla comune di Cinisello raccolti nel 1974 in un volumetto della Claudiana-Alternative. (Per la parte svizzera, Maurizio Rossi, tesi di laurea pubblicata "Solidarité d’en bas et raison d’Etat. Le Conseil fédéral et les réfugiés du Chili”, Alphil, Neuchâtel 2008).
Lo straordinario impegno di molti ha reso possibile il salvataggio di centinaia di persone, ma, come emerge dal libro di Rivoir, più persone avrebbero potuto essere salvate se le autorità svizzere avessero creato meno difficoltà e se più persone avessero dato il proprio contributo. Emerge a mio avviso che la responsabilità di ciascuno può avere un peso molto grande.
Il golpe in Cile, come ha anche scritto Rivoir, è stato sostenuto dall’imperialismo degli Stati Uniti. La dittatura e migliaia di morti sono stati un pegno che questa politica ha ritenuto accettabile per sovvertire le scelte sociali decise dal democratico governo di Allende. In rapporto ai fatti di 40 anni fa, mi viene da chiedermi quanto nel mondo di oggi è sotto controllo democratico e quanto viene imposto, riprendendo Rivoir, "con corruzione o violenza”; quanto ad esempio del sostegno al colpo di stato in Egitto e alle forze antigovernative in Siria voglia essere di aiuto alle vittime dei rispettivi governi o invece sia interesse geopolitico delle potenze che intervengono.
Un caso particolarmente grave di mancanza di democrazia, di ingiustizia e di violenza è senz’altro quella esercitata dal potere israeliano nei confronti della popolazione palestinese; vi è minore efferatezza, ma la situazione è cominciata prima del golpe, perdura, e molti vorrebbero non risolverla mai.
Ma le persone che ho incontrato dimostrano che le ingiustizie si possono almeno combattere.
Aldo Visco Gilardi, Toti Rochat, Guido Rivoir e molti altri sono stati straordinari per quello che hanno fatto per i profughi del Cile; ma la mia ammirazione va anche alla chiesa valdese in quanto tale che per queste iniziative dà le proprie strutture, il proprio nome e le proprie finanze. Ho letto recentemente che una Onlus ha sostenuto le spese di parte civile contro un torturatore cileno con il contributo dell’otto per mille delle chiese evangeliche metodiste e valdesi (www.24marzo.it).
Mi è anche sembrato straordinario scoprire che Aldo Visco Gilardi sia figlio di un "giusto” che dopo l’8 settembre del ’43 ha portato aiuto e conforto a ebrei in transito nel lager di Bolzano. L’insegnamento del padre di Aldo vorrei indirizzarlo a chi ritiene che l’essere parte di un popolo che ha subìto uno sterminio sollevi dall’obbligo di operare oggi secondo giustizia e umanità verso chi abita lo stesso territorio.
Aldo
Aprile 2013. Telefonata ad Aldo Visco Gilardi. Appunti presi durante la telefonata: già precedentemente all’11 settembre 1973, data del golpe militare in Cile, Aldo, insieme ad altri valdesi della Tavola Valdese, del Centro Ecumenico Agape, della Comune di Cinisello, della rivista Gioventù Evangelica diretta da Giorgio Bouchard, aveva mostrato attenzione per il Cile, come per altri paesi del Sud America, dell’Africa e per il Vietnam. Erano attenti in particolar modo alle minacce alla democrazia e ai diritti umani, messe in atto con complicità internazionali dai rispettivi governi o da gruppi militari di opposizione, come nel caso del Cile, Argentina e Uruguay. I contatti con l’America latina risalivano già alla fine dell’800, dove molti valdesi erano emigrati per cercare condizioni di vita migliori. La chiesa valdese dell’America latina era rimasta sempre unita a quella di origine. Questo tipo di struttura ha favorito l’organizzazione degli aiuti quando il potere è stato preso dai militari.
In Cile, dopo il golpe e l’uccisione del suo legittimo presidente Salvador Allende, iniziò la repressione degli oppositori al nuovo regime.
Aldo mi racconta che lui stesso partecipò alla costituzione di una rete di solidarietà delle chiese protestanti per far emigrare gli oppositori che rischiavano la vita. La rete era coordinata con un gruppo di svizzeri che avevano voluto aprire le loro case all’ospitalità di perseguitati e rifugiati. Se non ci fosse stata questa offerta di accoglienza, non avrebbero potuto né uscire, né essere ricevuti.
I rifugiati facevano la prima tappa a Buenos Aires, approdavano a Milano per poter poi proseguire per la Svizzera. All’inizio utilizzavano vie regolari, poi la polizia di frontiera svizzera si è accorta di passaggi non autorizzati dal proprio governo e ha posto maggiore attenzione. Con un braccio di ferro, il governo svizzero ha imposto un visto da richiedere al Consolato di Milano prima dell’ingresso nel Paese. Tra la domanda del visto e la risposta passavano anche sei mesi e i visti venivano in alcuni casi rifiutati. La loro rete organizzò quindi altri passaggi attraverso il cammino dei contrabbandieri. Fecero arrivare prima i padri, oppositori politici che facevano parte della giunta di Allende, poi i loro famigliari. Gli chiedo se è stato scritto su questa esperienza. Guido Rivoir, vissuto fino a quasi 104 anni, che ha fatto grosse battaglie con il governo federale e cantonale, ha scritto un libro, uscito postumo, Le memorie di un valdese, Claudiana, Torino, 2012.
Duecentocinquanta sono le persone passate attraverso l’organizzazione italiana su quattrocento accolte complessivamente in Svizzera.
A Torino vivono Giorgio Bouchard e la allora sua moglie Toti Rochat; facevano parte del gruppo che accoglieva i rifugiati. Toti Rochat ha scritto dell’esperienza di Cinisello Balsamo, nel libro Via Montegrappa 62 B, Marsilio, 2010, dove, appunto, essi transitavano e venivano ospitati. Toti Rochat, con cui poi mi sono messo in contatto, mi ha detto che mentre lei si occupava di una scuola serale all’interno della Comune di Cinisello (e entro la quale avevano accolto i rifugiati) Aldo gestiva il negozio della Libreria Claudiana a Milano.
Ferdinando
So che Aldo ha scritto (con Giorgio Bouchard) un libro su suo padre Ferdinando, Un evangelico nel lager, e gliene chiedo notizie.
Già negli anni Trenta, il padre aveva una casa editrice e aveva pubblicato in pieno fascismo Benedetto Croce, unico suo libro di saggi di filosofia politica, tra gli altri, contro O. Spengler ed E. Bergmann, teorici nazisti della razza; Ernesto Buonaiuti, La Chiesa romana; uno di filosofia di Rudolf Steiner e un libro di Niccolò Cuneo sulla Spagna cattolica e rivoluzionaria pochi anni prima della guerra di Spagna.
Suo padre, durante la Seconda guerra mondiale, aveva organizzato l’assistenza agli internati nel lager nazista di Bolzano. Abitando in quella città si era reso conto di cosa stesse succedendo ed era stato incaricato da Milano di occuparsene. Bolzano non faceva parte della Repubblica dell’Alta Italia di Salò. I tedeschi l’avevano annessa al Reich con Belluno, il Friuli Venezia Giulia e il Sud-Tirolo. A Verona suo padre aveva incontrato l’amico milanese Lelio Basso, che coordinava l’antifascismo nell’Alta Italia; da lui aveva avuto l’incarico di organizzare la solidarietà all’interno del campo per conto del Comitato di Liberazione Nazionale.
Aveva cominciato contattando un idraulico manutentore all’interno del lager. Vestito da operaio idraulico entrava nel lager per prendere contatti con dei referenti internati e organizzare l’assistenza. Così si era fotografato in mente la pianta del lager per poter portare dentro aiuti umanitari, alimenti, vestiario, denaro e generi di prima necessità per sopravvivere meglio, per organizzare fughe, raccogliere e trasmettere informazioni: sapere quali convogli fossero in entrata, sapere chi era chiamato per la partenza verso i lager austriaci, tedeschi e polacchi; per far avere informazioni alle famiglie e trasmettere corrispondenze clandestine ai detenuti, e altro ancora. È stata una rete di solidarietà organizzata molto bene, affidabile e molto estesa. Quando per la soffiata di un camionista sono stati arrestati il padre e altri componenti il Comitato di Liberazione, l’organizzazione ha ripreso a funzionare. Suo padre, una volta preso, è stato torturato e messo in isolamento, riuscendo comunque a mandare fuori le minute dei verbali di quanto dichiarato sotto tortura in modo che altri non dichiarassero cose diverse. Sua madre per un po’ è stata tenuta in ostaggio, ma ha contribuito a ricostituire la rete di solidarietà, che ha funzionato -grazie all’impegno e all’abnegazione di tante donne- fino alla fine della guerra.
Suo padre, uscito dal carcere con la Liberazione il 30 aprile 1945, è stato prelevato dai partigiani e portato al quartier generale delle armate tedesche al castello di Bergheim ad accompagnare il dr. Bruno De Angelis, delegato militare del Clnai, per raccogliere il 3 maggio la firma del trattato di resa al Cln dei generali tedeschi v.Vietinghoff e Karl Wolff, che allora speravano di conservare al Reich i territori annessi. I generali tedeschi avevano già fatto firmare ai loro luogotenenti qualche giorno prima la fine delle ostilità e la resa agli Alleati a Caserta. La guerra si conclude in Europa dopo l’8 maggio con il suicidio di Hitler e la liberazione di Berlino da parte dell’Armata Rossa.
Esprimo la mia ammirazione ad Aldo per aver fatto lui stesso, dopo l’esempio del padre, azioni di giustizia e gli esprimo quello che è un mio cruccio: che invece in gran parte gli ebrei direttamente discendenti di scampati sostengono Israele quando opprime il popolo palestinese.
La sua risposta è dura. L’essere discendenti di perseguitati non impedisce loro di riprodurre l’ingiustizia verso altri popoli, in specie i palestinesi. Ci sono però esempi di segno opposto di società civile israeliana che resiste: Neveh Shalom, Parents Circle, e altri. Anche se sono pochi, ed è triste, bisogna continuare a far tenere gli occhi aperti.
Toti e l’esperienza di Cinisello Balsamo
Toti Rochat, insieme ad altri, ha aiutato centinaia di oppositori cileni e le loro famiglie a scappare dal golpe e a trovare rifugio in Svizzera. So che ha scritto il libro su una Comune di Cinisello Balsamo degli anni Settanta, in cui a un certo punto avevano ospitato gli oppositori cileni in fuga dal golpe. La vado a trovare a casa sua in Valle d’Angrogna, vicino a Torino. Mi presento dicendo che ammiro quello che hanno fatto per i profughi cileni all’indomani del golpe del ’73. Le dico che sono ebreo. L’ebraismo è sempre stato per la giustizia, ma adesso nell’ebraismo si identifica il giusto sempre di più con lo Stato di Israele, anche se Israele opprime il popolo palestinese. Riconosco in loro dei giusti per quello che hanno fatto.
Toti ha delle parole di comprensione per Israele, dice che scatta un meccanismo difensivo. Riguardo al rapporto tra valdesi ed ebrei dice che essere minoranza aiuta l’amicizia; il cattolico non studia l’antico testamento; non ci sono cattolici che si chiamano Isaia e Ruth. Per i cattolici, l’ebraismo non è vissuto come parte della propria storia, per i protestanti sì.
Toti è contenta di raccontare, spera che serva a far conoscere un po’ di storia recente ai giovani. Mi mostra un libro a fumetti che ha sul tavolo. è su Piazza Fontana; aveva sentito studenti universitari dire che sono stati i comunisti a mettere la bomba. Chiedo a Toti come è nata la Comune di Cinisello Balsamo. La Comune nasce per iniziativa valdese e lei vive lì dal 1968 al 1979 (la Comune dura fino agli inizi del nuovo secolo). Una chiara motivazione religiosa che non è si è mai tradotta in proselitismo, essersi formati nel centro ecumenico di Agape, la necessità di aprirsi agli altri, l’attenzione al movimento operaio, sono stati elementi che hanno contribuito alla decisione di costituire la Comune. Leggo nel suo libro Via Montegrappa 62b i motivi all’origine della Comune: "Voler portare al di fuori esperienza di vita comunitaria sperimentata nel Centro Ecumenico di Agape; questo senza voler ‘andare oltre’ la famiglia, ma per superare l’isolamento delle famiglie mononucleari, nate con lo sviluppo industriale e l’abbandono delle campagne. Famiglie chiuse e ristrette nelle relazioni e che la sera in genere si intorpidivano davanti alla tv [...] I dibattiti sulla situazione politica del mondo, gli incontri teologici sulla vocazione del credente, le infiammate prediche del pastore Tullio Vinay, fondatore di Agape, e il catechismo stesso delle nostre chiese ci avevano impedito di considerare la programmazione della nostra vita unicamente finalizzata al nostro benessere. La formazione cristiana di tipo protestante ci portava a considerare la fedeltà della nostra vocazione, non come fuga mistica dal mondo, ma come assunzione di tutte le contraddizioni esistenti e una presenza consapevole e sempre attiva al loro interno”. Sulla scelta politica, chiaramente connotata a sinistra, a fianco degli operai. Riprendo ancora dal testo: "Lunghi dibattiti si erano svolti ad Agape in quegli anni tra cristianesimo e marxismo o, come si preferiva dire, tra testimonianza cristiana e lotte del movimento operaio”. La scelta di fare qualcosa di concretamente utile per il mondo operaio si tradusse nel costituire una scuola media serale in una zona a forte densità industriale e operaia come Cinisello Balsamo. Ogni anno, più di una trentina di insegnanti, di cui una ventina appartenenti alla Comune, su base volontaria, preparava e portava con successo all’esame di terza media una ventina di studenti. La sinistra in Italia seguiva l’esperimento di Allende, i cileni erano interessati al compromesso storico, leggendolo forse in modo più forte di quanto non fosse vissuto in Italia (compromiso in spagnolo è impegno).
Il pastore Guido Rivoir
Con il golpe del ’73 il pastore Guido Rivoir chiese aiuto alla Comune per ospitare profughi cileni. Rivoir aveva fondato l’associazione "Posti liberi”; chiedeva a famiglie di mettere a disposizione camere non utilizzate delle loro abitazioni, magari di un figlio non più in casa.
L’organizzazione di Rivoir avvisava degli arrivi. La Comune è così riuscita ad accogliere i primi dieci, poi hanno dovuto contattare altri amici della chiesa valdese e non.
In Cile chi sapeva di essere in pericolo scappava. Ottenevano il passaporto grazie a funzionari che rischiavano la pelle per darli. I passaporti erano di fattura autentica, ma non attraverso l’iter ufficiale. Magari i fuggitivi erano stati arrestati all’inizio, rinchiusi negli stadi, torturati e picchiati, ma la polizia di Pinochet non era riuscita a dimostrare il loro legame con il passato governo cileno e quindi erano stati rimandati a casa per essere pedinati.
Erano in pericolo loro e le persone che incontravano; dovevano scappare il più presto possibile.
Si sono salvati anche grazie alla mancanza di coordinamento delle forze di polizia. Il vescovo di Santiago Silva Enriquez, il pastore luterano Helmut Frenz e altri costituirono i Comité para la Paz. I profughi si rivolgevano al comitato per la pace che procurava loro il passaporto.
Andavano in Argentina dove il pastore svizzero a Buenos Aires, Renfer, li accoglieva e dava loro un biglietto aereo per Milano. Arrivavano a Milano con biglietto e passaporto vero, una busta gialla per essere riconosciuti, e vestiti estivi (dato il cambio di emisfero) in pieno inverno europeo. Quelli che a Milano li accoglievano avevano i nomi delle persone che sarebbero arrivate ed il numero del volo. I profughi arrivavano angosciati per le famiglie abbandonate, arrivavano infatti prima quelli che rischiavano la pelle e solo in seguito si cercavano di ricongiungere le famiglie. Quando la disponibilità di posti a Milano veniva esaurita venivano portati anche in Angrogna.
Li preparavano al colloquio con le autorità svizzere. Sapevano che in Svizzera erano prevenuti, quindi non avrebbero dovuto dire di essere marxisti o comunisti, piuttosto per far leva sul loro senso della legalità, dovevano sottolineare che erano dipendenti di un governo legittimamente eletto. Cercavano di evitargli il centro di accoglienza e di lasciare che fossero liberi.
In un colloquio avuto da Toti con un funzionario della polizia svizzera che veniva a Milano una o due volte alla settimana apposta per interrogare i cileni che chiedevano il visto di ingresso e che aveva voluto sapere chi era lei e come mai accompagnava i cileni al consolato, tutto è stato presentato come emergenza umanitaria.
I rifugiati, racconta Toti, arrivavano da esperienze traumatiche. Avevano visto crollare tutte le loro speranze. Avevano lasciato i loro cari. Avevano un bisogno incredibile di raccontare. Dopo alcuni giorni, ci confessavano che, arrivando, in un primo momento ci avevano trovato freddi, ma ancora non potevano sapere che sarebbero passati al ghiaccio polare della Svizzera. Con i rifugiati è nata un’amicizia incredibile, raccontavano tutta la notte (anche se il giorno dopo per loro insegnanti sarebbe stata una giornata di lavoro). Da questi racconti è nato il libro Cile, carcere, tortura, esilio. Hanno venduto 10.000 copie. Sono andati a parlare nelle fabbriche, hanno organizzato concerti cileni. I proventi dalla vendita hanno aiutato a sostenere le finanze del gruppo per l’accoglienza. Avevano coinvolto anche il mondo operaio delle fabbriche circostanti; gli operai che frequentavano la Comune raccoglievano vestiti nelle proprie fabbriche. Toti ricorda: "Venivano da ogni parte del paese. Dalla capitale, dove alcuni avevano conosciuto la segregazione negli stadi, utilizzati come contenitori di masse di prigionieri fin dai primi giorni; dalla zona di Concepción, nel sud, zona di miniere di carbone dove i minatori rappresentavano una forza della sinistra; o dai campi di concentramento del nord, come Chacabuco. Erano quadri del partito o dei sindacati, o semplici militanti operai e contadini. Avevano subìto percosse e torture ed erano stati poi rilasciati quasi per sbaglio. Apprendemmo che tra i militari e le forze dell’ordine c’era una grande disorganizzazione. I prigionieri ne approfittavano a volte per nascondere le responsabilità politiche ricoperte in Unitad Popular, o per fare ‘los tontos’... Alcune donne erano state sottoposte a terribili violenze in carcere o nelle caserme di polizia”.
Toti riporta nel libro le torture subite da chi veniva arrestato: "Chi veniva individuato come dirigente di Unidad Popular -scrive- difficilmente usciva vivo da quei luoghi. Leggo in un articolo della Bbc che il numero riconosciuto degli uccisi e quelli fatti scomparire durante il golpe è stimato in 3.065 e più di 40.000 quello delle persone arrestate che hanno subìto tortura. (m.bbc.co.uk/news/world-latin-america-14584095). Il Comune di Cinisello Balsamo è sempre stato di sinistra, concesse la sala consiliare, organizzò lì conferenze per raccontare quello che succedeva in Cile.
Ogni tanto a qualche cileno il visto di ingresso in Svizzera veniva rifiutato, non si capiva con quale criterio, forse solo per sottolineare il diritto di scegliere della Svizzera. Toti ricorda tra questi Guillermo della "minera del carbon” che alla fine è rimasto in Italia dove vive tutt’ora. Altri sono riusciti ad andare in altri paesi europei. Alcuni dei protagonisti e molti dei loro figli oggi sono tornati. Era un periodo con più illusioni e speranze: consigli di fabbrica, statuto dei lavoratori, parità delle operaie con gli operai, aborto e divorzio. Le chiedo cosa rimane di quel periodo. Oggi, mi risponde, non ci sono più fabbriche né consigli di fabbrica, ma alla Breda, mi racconta, sono impegnati per gli immigrati del Nord Africa; ci sono alcuni rifugiati a 1.500 metri, sopra Torre Pellice. Ci sono dei comitati di accoglienza. La solidarietà a Cinisello è rimasta.
In Svizzera i profughi trovavano difficoltà. Hector le aveva detto: "Compañerita, los suizos no son seres humanos” (compagnuccia, gli svizzeri non sono esseri umani). Le famiglie spesso non davano loro le chiavi di casa e, se rientravano troppo tardi, per non svegliare i padroni stavano fuori la notte, magari seduti sullo zerbino. Linco, un quadro di Unidad Popular, le ha raccontato che con gli svizzeri cercavano di sembrare meno capaci di quello che erano, le diceva che facevano "los tontos”; tanto che la sua padrona di casa lo considerava deficiente. Linco -ricorda ancora Toti- spiegò loro cose interessanti sugli organismi di base del Poder Popular e sulle dinamiche che prepararono la sconfitta della "rivoluzione pacifica”, sulle posizioni divergenti tra partito socialista e partito comunista e sulla lenta e inarrestabile organizzazione del golpe da parte delle forze reazionarie.
Nel 1974 Toti fece un viaggio a Buenos Aires; Rivoir le aveva dato i soldi da portare al pastore Renfer. Era un malloppo di banconote in dollari Usa di piccolo taglio; trovò uno stratagemma per nasconderli, li arrotolò in gomitoli di lana del lavoro a maglia che portava con sé e passò indenne i controlli. Il pastore Renfer era terrorizzato, guardava sempre dalla finestra se c’era una macchina sotto, c’era la dittatura anche in Argentina. All’inizio Toti aveva pensato: "Che fifone”. Poi ha capito.
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