Nel biennio 2010-2011 quasi tutti i paesi del mondo sono impegnati nelle operazioni di censimento; queste, per natura e sostanza, non differiscono troppo da quelle che, un paio di secoli fa, dettero inizio ai primi conteggi della moderna epoca statistica. Neodemos ha già dato conto dei primi risultati dei censimenti di alcuni grandi paesi: India, Stati Uniti, Canada1; è adesso il turno della Cina che ha reso noti, alla fine dello scorso aprile, i primi dati del censimento tenuto alla fine del 2010 (il riferimento preciso è il 1 novembre del 2010)2. Si è trattato del sesto censimento nazionale (dopo quelli del 1953, 1964, 1982, 1990, 2000) eseguito grazie "alla dedizione e agli sforzi di 10 milioni di operatori”, un numero pari alla popolazione dell’intero Belgio.
I risultati confermano quanto già largamente noto: i 1.340 milioni di abitanti indicano un aumento di 74 milioni nel decennio trascorso dal censimento del 2000, contro i 132 milioni di aumento del decennio 1990-2000, con un tasso d’incremento medio annuo dimezzato (0,57% contro 1,07%). Nello stesso decennio, la popolazione dell’India ha avuto un incremento (181 milioni) di due volte e mezzo superiore: il sorpasso sulla Cina -secondo le ultime proiezioni delle Nazioni Unite- dovrebbe avvenire nel 2021. La turbolenta crescita economica e la vigorosa politica di controllo delle nascite, sono le forze di fondo della brusca frenata della crescita demografica.

La corsa a oriente
L’evoluzione demografica della Cina è caratterizzata, oltre che dalla bassa natalità, dalla forte migrazione interna verso tutta la fascia orientale del paese, quella costiera. È in questa fascia che sono concentrate le grandissime aree metropolitane (Beijing, Tanjin, Shanghai, Guangdong…), le attività manifatturiere, le gigantesche opere infrastrutturali: insomma, è in questa enorme regione che c’è il motore della vorticosa crescita economica ("a due cifre”) dell’ultimo quarto di secolo. I dati riflettono nitidamente questa tendenza: tra il 2000 e il 2010, la macro-regione Costa Orientale (nella quale si concentra il 41,4% dei cinesi) ha assorbito i quattro quinti della crescita del paese (59 su 74 milioni), con un aumento del 12%, che arriva al 40% nelle aree di Beijing e Shanghai. Le altre macro-regioni sono rimaste al palo, con lievi aumenti del 2,8% nel Nord-Est (8,2% della popolazione totale), dell’1,7% in quella Centro-Orientale (28,6%) e una diminuzione dello 0,2% nel Nord-Ovest-Centro (19,5%). Solo nell’estremo Ovest (appena il 2,2% del totale), la regione del Tibet e del Xinjiang, la crescita è stata superiore alla media nazionale (+12,5%).
La redistribuzione interna della popolazione si sovrappone ad un’intensa migrazione dalle aree rurali a quelle urbane, molto forte non solo nella fascia orientale, ma anche nelle altre macroregioni. Il Censimento indica che la popolazione urbana tocca il 50% del totale, rispetto al 37% del 2000. La popolazione urbana, nel decennio, è aumentata di 207 milioni, quella rurale è diminuita di 133. Beijing e Shanghai sommano 43 milioni di abitanti: col 3,2% della popolazione hanno assorbito il 17,1% dell’aumento della popolazione totale nel decennio.

Il fenomeno migratorio
La formidabile crescita economica dell’ultimo quarto di secolo non sarebbe stata possibile senza la massiccia emigrazione in direzione occidente-oriente e campagna-città, della quale abbiamo visto i risultati nel mutamento della geografia del popolamento. Un’insaziabile domanda di manodopera, particolarmente dall’industria manifatturiera e dai settori delle costruzioni residenziali, commerciali e delle infrastrutture, ha alimentato intensi flussi migratori, nonostante gli ostacoli frapposti dal sistema amministrativo agli spostamenti interni. È tuttora in vigenza un sistema di registrazione dei nuclei familiari (hukou) che nei primi decenni del regime comunista impediva efficacemente le migrazioni fuori dell’area di residenza. Questi ostacoli si sono di fatto allentati, anche se i migranti verso le aree urbane continuano ad "appartenere” giuridicamente alla residenza rurale originale e, come tali, non sono titolari dei benefici sociali e assistenziali dei residenti urbani. Da molto tempo si parla di una riforma del sistema, che (in congiunzione con la riduzione delle generazioni più giovani) rischia di inaridire l’offerta di lavoro nelle aree che sono motore di sviluppo.
Nel 2010 sono state censite ben 261 milioni di persone che vivev ...[continua]

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