Come vola il tempo! Sono trascorsi ormai più di vent’anni dalla caduta del Muro di Berlino e dalla valanga di rivoluzioni che avevano condotto alla caduta del comunismo. Ora altre dittature tremano: ribellioni di entità differente hanno travolto Tunisia, Giordania, Algeria, Albania, Libia, Sudan, Yemen e -soprattutto l’Egitto, tutte spontanee e partite dal basso: è quasi come se i fatti di questo 2011 fossero un replay mediorientale del 1989. I commentatori più ascoltati, comunque, così come nel 1989, non hanno saputo dirci granché in proposito. Le rivolte transnazionali, provocate da lavoratori e gente comune, hanno lasciato i nostri esperti politici senza parole. La loro incapacità di fornirci un contesto interpretativo, il loro focus ristretto, la loro ossessione per le storie individuali e la loro fiducia nell’ovvio ha però avuto implicazioni politiche. Il nostro vuoto intellettuale è stato sostituito da una calda ventata di teorie della cospirazione provenienti dagli ambienti più destrorsi. Glenn Beck e i suoi compari sembrano pensare che in Medio Oriente le sommosse siano state provocate da marxisti, comunisti, fondamentalisti islamici, e (questa è proprio bella!) dal gruppo statunitense femminista anti-autoritario "Code Pink”, che opera sensibilizzando l’opinione pubblica sulla situazione di Gaza. I neo-conservatori, nel frattempo, hanno pensato bene di buttare benzina sul fuoco. Continuano a torcersi le mani per le nuove minacce che si prospettano a Israele, e sui pericoli connessi alla fine di regimi storici, fidati alleati autoritari degli Stati Uniti. Tutte quelle chiacchiere sulla diffusione della democrazia nel mondo arabo, servite a giustificare l’invasione dell’Iraq, paiono dimenticate. A loro la vera democrazia non interessa: sembra piuttosto che metta a repentaglio il nostro stile di vita.

Da una simile cricca di araldi del pregiudizio è lecito attendersi simili livelli di ipocrisia e paranoia cronica. Gli esperti più noti sono, ovviamente, più ragionevoli. Vanno molto le interviste con la gente comune; seguono i dibattiti sull’importanza dei livelli di povertà (come se la povertà non avesse sempre afflitto le masse in Medio Oriente, e come se le condizioni economiche non fossero state ben peggiori in altri periodi). Poi vengono i riferimenti obbligati alla corruzione dei burocrati e alla carenza di democrazia (come se corruzione e dittatura fossero invenzioni recenti). Si parla spesso anche del nuovo potere organizzativo conferito da internet (come se eventi transnazionali di questo tipo non si fossero già verificati anche prima dell’invenzione del computer). E questo è quanto. Certo, ciascuno di questi fattori è sicuramente importante, ma non aiuta a cogliere alcuna specificità storica, alcuna tradizione radicale o pedagogia cosmopolita. Sopra ogni cosa, però, pare virtualmente assente qualsivoglia discorso sulla natura degli attori politici. Le dinamiche di quella che pare una reazione a catena rivoluzionaria, semplicemente, scompaiono dal quadro degli analisti: tutto si trasforma in spettacolo mediatico. Si noti che persino i commentatori politici più progressisti paiono denotare una fissazione di tipo istituzionale su elites e media, leader e teorie della cospirazione, e sembrano aver colpevolmente dimenticato ciò che Ernst Bloch ha definito "la storia sotterranea delle rivoluzioni”.
Dove potremmo trovare i giusti strumenti analitici? Forse un buon punto di partenza ci proviene da Rosa Luxemburg (1871-1919). Agli inizi della mia carriera avevo tradotto e curato la pubblicazione delle sue "Lettere” e una sua breve biografia, intitolata Rosa Luxemburg: A revolutionary of Our Times. Non posso fare a meno di pensare a Rosa, in questo momento: certo sarebbe rimasta intrigata da quanto sta accadendo in Medio Oriente.
Tutti la chiamavano Rosa. Socialista libertaria dallo straordinario carisma e fascino, intellettuale raffinata e vera celebrità del movimento laburista internazionale, venne brutalmente assassinata da picchiatori proto-nazisti all’età di 48 anni. Ancora oggi in molti si incontrano a Berlino per commemorarla, e a lei è stato intitolato un istituto di ricerca della Spd; ad ogni modo, Luxemburg era una marxista della vecchia scuola. Non c’era nulla di rilevante nella sua dedizione al repubblicanesimo e all’equità sociale. Ciò che la rendeva unica era la speciale enfasi con cui sottolineava il ruolo di una coscienza democratica, e di ciò che definirei una pedago ...[continua]

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