Note sul V concresso della Unione delle Comunità Ebraiche Italiane

Il giudizio sul V Congresso dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane, svoltosi a Roma nei giorni 2, 3 e 4 luglio, non può essere positivo.
Negli ultimi duecento anni si è visto l’Ebraismo italiano passare attraverso due fasi.
La fase della recezione della Haskalà, l’Illuminismo ebraico, tradotta prima nell’aspirazione a essere "uguali agli altri": un’aspirazione che è passata attraverso l’apertura delle porte dei ghetti, l’affermazione dell’eguaglianza dei diritti, la partecipazione alla prima guerra mondiale e anche l’adesione di molti al fascismo quando "gli altri" erano fascisti, e si è tradotta nella legge del 1930 sulle Comunità israelitiche e sull’Unione delle Comunità medesime.
E poi la fase dell’impegno antifascista non solo dei Rosselli, dei Bauer, dei Colorni, dei Ginzburg, dei Terracini, dei Foa -ebrei italiani la cui biografia entra nella storia del grande contributo politico degli ebrei italiani alla società che li circonda- ma anche di quanti, impegnati nell’antifascismo e nella Resistenza, hanno lasciato un segno nella storia del pensiero dell’ebraismo italiano come Emanuele Artom, Leo Levi, Augusto Segre, e si è tradotto nell’affermazione del "diritto di essere se stessi" riconosciuto nell’Intesa con lo Stato e nel nuovo Statuto del 1987.
Tra la prima e la seconda fase ci sono state le leggi razziali e la persecuzione antiebraica, che hanno fatto seguito alla dichiarazione di Mussolini sulla incompatibilità di ebraismo e fascismo contenuta nella prima stesura della "Dichiarazione della razza" del luglio 1938: "L’ebraismo italiano non può sinceramente accettare il regime fascista perché antitetico a quella che è la psicologia, la politica, l’internazionalismo di Israele".
Assistiamo ora all’inizio di una terza fase che, più che in un ricambio generazionale come da taluni si è detto, sembra volersi tradurre in una curiosa sintesi di Jewish Pride post-sionista e di berlusconismo, ammantandosi erroneamente del richiamo alla Halakhà, la legge ebraica, e ignorando il rifiuto di ogni forma di idolatria, in parte indotto da un becero antisemitismo di sinistra provocato dal bisogno di scaricare su altri il complesso di colpa nei confronti dei popoli del terzo mondo.
A me e a pochi altri il Congresso è sembrato celebrare il funerale dell’ebraismo italiano. Ma siamo caduti in errore. E’ stato solo il funerale di un certo ebraismo, quello dei nostri padri e dei nostri maestri.
Guido Fubini