Franco Travaglini, direttore di Cucina e salute, ha curato per Aporie il libro Vivisezione-Gli animali sperimentali nella ricerca scientifica e nella vita quotidiana.

Ultimamente hai partecipato a molti convegni con veterinari e con ricercatori sul tema della vivisezione e sperimentazione animale. Quali problemi hai incontrato?

Parlando anche con persone molto preparate, con docenti di queste materie, emerge in maniera assolutamente chiara che hanno grandi blocchi psicologici, forti resistenze a rinunciare ad un paradigma culturale che fa parte del loro modo di affrontare la vita e la professione. Senti dei veterinari dire: “Ma chi più di noi si pone il problema del benessere animale, del far star bene gli animali?”, e poco dopo senti sempre gli stessi riferirsi all’animale che viene usato nella sperimentazione dicendo: “Il prodotto noi lo prendiamo da un allevamento specializzato”. Oppure ti dicono: “Discutiamo pure del problema della sperimentazione animale, però l’uso degli animali è insostituibile”. Anche solo riuscire a far sì che aggiungano semplici espressioni come “per ora”, “date le conoscenze attuali”, “finché non si trovano altre strade”, diventa molto difficile. Sostanzialmente questo paradigma dice: “E’ moralmente giusto fare agli animali quelle cose che invece agli uomini non è giusto fare”. Per cui è giusto addomesticarli, ucciderli, mangiarli, usarli per la sperimentazione, tutte cose che nell’ambito delle relazioni fra umani, anche se poi si fanno lo stesso, sono messe all’indice dal punto di vista della morale e della legge. Voglio dire che ciò che rende gratuito l’uso degli animali dal punto di vista morale, ciò che permette di far soffrire l’animale presentando poi su uno schermo tutti i dati rilevati e che ci consente tranquillamente di dire: “Continuiamo così”, è un presupposto culturale e non scientifico.
Per spiegare questo concetto faccio un esempio che mi sembra calzante: le guerre hanno consentito grandi progressi nella chirurgia, nella medicina traumatica, e anche, a partire dalle ultime guerre di massa, nella medicina sociale, nel controllo, cioè, di fenomeni morbosi che riguardano intere popolazioni. Ma il fatto che tutto ciò sia vero non è sufficiente per poter dire: “Facciamo delle altre guerre perché così scopriamo altre cose buone per il futuro dell’umanità”.
Ma ciò sarebbe perfettamente normale e legittimo se ci immaginassimo una società in cui il paradigma culturale sia: “La guerra è un modo giusto e normale di risolvere i conflitti fra esseri umani”.
Potremmo allora immaginarci un convegno sulla ricerca medica che riporti una serie di tabelle su quello che è successo nella tal guerra, cosa si è ricavato dall’esperimento in vivo fatto durante la guerra, al cui termine si dica: “La prossima guerra che faremo, utilizziamola per bene. Ci potrà dare grossi risultati”. D’altra parte, studiare gli animali non era certo il modo scientifico migliore per capire come funziona l’organismo umano o per conoscere la patologia umana. La ricerca fisiologica di base dell’800 non ha preso prima gli uomini per poi dire: “No, non vanno bene come modello sperimentale, prendiamo il cane...”. Hanno preso gli uomini e poi è cresciuto il rifiuto verso questa sperimentazione, tant’è che per un lungo periodo non si poteva fare neanche anatomia, si andava a trafugare i cadaveri e in Inghilterra, per questo motivo, si rischiava addirittura l’impiccagione. Tanto più, ovviamente, c’era il tabù dell’uomo vivo, anche se poi magari prendevano i dementi.
Ma tu sostieni che è discutibile anche dal punto di vista dei progressi scientifici...
Tutti sanno e sostengono che la cosa migliore sarebbe sperimentare sull’uomo, perché nessuno è miglior modello di se stesso. I veterinari, per esempio, dicono che la sperimentazione va fatta sul target specifico: se si cerca un farmaco per la brucellosi bovina si deve sperimentare sul bovino. Ma anche qui vediamo che i presupposti scientifici sono condizionati da altri presupposti, in questo caso economici. Un bovino costa tanto, un cavallo di più, per cui un conto è fare prove tossicologiche su cento topolini cavia che costano mille lire l’uno e un altro farle su cento cavalli. Però è assolutamente chiaro che la sperimentazione andrebbe fatta sul target specifico. Tant’è vero che poi anche la sperimentazione definitiva è fatta sull’uomo. Quella sull’animale ha come unico scopo quello di arrivare a fare la sperimentazione sull’uomo, facendogli correre ...[continua]

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