In questa e nelle precedenti interviste sul carcere siamo partiti dal “Reembolso através da leitura”, progetto brasiliano che prevede lo scambio fra libri letti e giorni acquisiti di libertà. Che cosa ne pensi?
Sicuramente non mi sembra un’idea criticabile, semmai utopistica rispetto alla realtà della vita dentro il carcere. Ma è un’idea molto originale, e non è che in carcere l’originalità delle idee trovi spesso casa. Dal mio punto di vista è una proposta che, indipendentemente dalle possibilità di realizzarla in maniera positiva, potrebbe valere la pena di essere provata.
Al di là di ogni considerazione -parlando di carcere e di reinserimento, per usare una parola che come tutte le altre vuol dire ben poco- l’idea di inserire la lettura, il rapporto con i libri, fra le opzioni possibili per affrontare il problema di come si lavora sul reinserimento di persone che stanno in carcere mi troverebbe completamente favorevole. Detto questo, è una proposta che corre il grosso rischio di rimanere di difficile effettiva praticabilità.
Da parecchio ormai tento di sostenere che le due parole che possono arricchire l’ormai stantia questione del reinserimento sono educazione e istruzione di base. Educazione non è solo il lavoro, non sono solo i programmi di misura alternativa ripetuti a pappagallo indipendentemente dalle caratteristiche della persona. Per educazione intendo l’adeguamento degli input al livello della persona in modo da tirar fuori da lei il massimo che può dare dal punto di vista della relazione con gli altri, della capacità di esprimersi e via dicendo.
Per istruzione di base intendo istruzione di base: matematica, italiano, geografia, storia… Una cosa di questo genere. Se vogliamo mantenere il concetto di lavoro, che tanto ha permeato tutta la questione in questi decenni ogni volta che il mondo esterno si è avvicinato al carcere, e tener conto della precedenza che devono avere educazione e istruzione di base, allora parlerei di lavoro in termini di progetti di autoimprenditorialità. Proverei a sfuggire dalla gabbia della persona formata in carcere che con quella formazione poi tenta di trovare fuori. Uscirei dalle gabbie del collocamento tradizionale, del centro per l’impiego, dai percorsi facilitati dalle borse lavoro. Proverei a favorire le capacità -naturalmente accompagnate e tutorate- di autoimprenditorialità delle singole persone, quelle che ne hanno voglia e che, superato il gradino dell’educazione e dell’istruzione di base, si ritengono in grado di misurarsi con questo.
Il lavoro quindi non è, nonostante la vulgata, una chiave certa per il reinserimento.
Spesso ci troviamo di fronte a forme mentali, parlando delle persone in carcere o appena uscite o che stanno per uscire. Ci troviamo di fronte a forme mentali che danno, oserei dire, per scontato un livello di assistenza nei confronti di queste persone legato alla loro disponibilità a collaborare, a sforzarsi di uscire dalla situazione in cui sono, a maturare, eccetera.
Sull’argomento siamo ormai regrediti anche noi “esterni” -le associazioni, le cooperative, il terzo settore, gente che ci ragiona, politici che se ne interessano. Il carcere ci risucchia verso il suo infantilismo se non abbiamo uno scatto che ci porta a ragionare sugli strumenti di…
Mi veniva quasi la parola redenzione, perché il reinserimento di cui si parla è inteso da qualcuno come una sorta di redenzione, forse da altri come un inserimento burocratico.
Nella sua ultima relazione il Garante nazionale delle persone private della libertà personale, Mauro Palma, ha citato proprio l’istruzione come elemento fondamentale per accompagnare nel loro percorso le persone detenute. Parlava anche di sostegno abitativo e di possibilità di un reddito, però, come fai tu, metteva l’istruzione al primo posto.
Sì, istruzione al primo posto. Istruzione ed educazione. Altrimenti non arriverai mai a conoscere le persone.
Se le vuoi conoscere e le vuoi aiutare -continuiamo a usare questa parola, non la trovo offensiva per chi riceve l’aiuto- laddove queste persone sono disponibili a essere aiutate, ecco, per capire se hanno capito, se sono in grado di utilizzare gli strumenti che tu gli puoi dare, per capire ch ...[continua]
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