Riccardo Dalle Grave, medico psicoterapeuta specialista in scienza dell’alimentazione ed endocrinologia, è responsabile dell’Unità funzionale di Riabilitazione Nutrizionale della Casa di Cura Villa Garda - Garda (Vr), è autore di numerose pubblicazione su riviste scientifiche internazionali e di libri riguardanti il trattamento dei disturbi dell’alimentazione e obesità.

Tra gli effetti della pandemia e del conseguente lockdown si è registrato un preoccupante aumento dei disturbi alimentari tra gli adolescenti. Qual è la portata del fenomeno?
Sicuramente la pandemia ha cambiato lo scenario, devo tuttavia premettere che in Italia non esiste un Osservatorio epidemiologico, quindi, in realtà, non abbiamo dati precisi. I numeri che abbiamo letto nei vari giornali non sono solidi, nel caso migliore sono estrapolati dai dati di altre nazioni, se non del tutto inventati. Visto comunque che i fattori socio-culturali e il nostro stile di vita è simile a quello degli altri paesi occidentali dove invece si fanno indagini epidemiologiche molto accurate, come in Inghilterra e nei paesi scandinavi, in Olanda e negli Stati Uniti, possiamo far riferimento alle loro rilevazioni. Ebbene, i dati raccolti ci dicono che, negli ultimi dieci-quindici anni, i disturbi dell’alimentazione si erano abbastanza stabilizzati; addirittura alcuni studi condotti in Inghilterra avevano osservato una diminuzione nell’incidenza della bulimia nervosa.
Nello stesso periodo si era anche assistito a una maggiore enfasi sugli studi tesi ad analizzare le cause biologiche di questi disturbi, mentre negli anni Settanta e Ottanta, in concomitanza con un’esplosione dei casi di bulimia e anoressia nervosa, l’attenzione era stata inizialmente focalizzata prevalentemente sui fattori socio-culturali, in particolare sulla pressione a una magrezza sempre più esasperata.
L’arrivo della pandemia ha senz’altro confermato la sensibilità di questi disturbi ai fattori socio-culturali. Negli Stati Uniti, dove hanno avviato delle indagini, si è infatti già registrato un aumento di incidenza di almeno un 15-20%, che è un dato notevole se prendiamo l’intervallo di questi due anni.
Pur in assenza di numeri certificati, anche i centri clinici italiani, tra cui il nostro, ha assistito a un aumento inaspettato e molto marcato delle richieste di trattamento. In particolare abbiamo visto molti esordi negli adolescenti durante i lockdown, ma anche nei post lockdown. Abbiamo poi visto delle ricadute in pazienti che erano in remissione o un’accentuazione della psicopatologia in pazienti in trattamento.
Va detto che c’è stata anche qualche paziente che invece è migliorata durante la pandemia. La protezione offerta dall’isolamento ha aiutato alcune giovani a gestire meglio il problema. Questo dato di fatto ci deve far riflettere sull’importanza di dedicare maggiore attenzione e risorse allo studio dei fattori socio-culturali, sia per capirne l’influenza, sia per mettere in campo delle strategie sociali di protezione per gli adolescenti a rischio.
Diceva che si sa ancora poco sui fattori di rischio e sulle “ragioni” dell’insorgenza di questi disturbi.
Se volessimo essere corretti da un punto di vista scientifico, dovremmo tenere una posizione agnostica e ammettere semplicemente che noi non conosciamo le cause. In realtà in questi decenni la ricerca e i ricercatori sono andati avanti e quindi qualcosa possiamo dire. Per esempio, i dati raccolti nelle indagini eseguite soprattutto sui gemelli indicano che per circa il 50% c’è una base ereditaria; la concordanza nei gemelli omozigoti è attorno al 50%, negli eterozigoti è del 10%; in presenza di dati di questo tipo c’è indubbiamente qualcosa di genetico.
Adesso esiste una metodica (Gwas) che, grazie a una scansione del genoma della stessa popolazione, esamina delle variabili in alterazioni di singoli nucleotidi. Ne sono stati trovati otto che correlano sia con alcune variabili metaboliche che psichiatriche. Che cosa però significhi questo resta una questione aperta. Siamo lontanissimi dall’avere una comprensione genetica. Poi lei capisce che, se parliamo di una predisposizione al 50%, vuol dire che il restante 50% è ambientale e questo lo vediamo bene in presenza di situazioni ambientali sfavorevoli come quella attuale. Questo per dire che l’ambiente gioca un fattore determinante sia nel proteggere le persone a rischio sia nel favorire lo sviluppo dei disturbi. Dopodiché anche le indagini ambientali sono molto com ...[continua]

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