Il quartiere San Siro è socialmente difficile e per questo considerato “periferico” anche se in realtà ormai fisicamente inserito in un tessuto che negli anni lo ha assorbito, senza tuttavia eliminarne lo stigma.
Costruito negli anni Trenta secondo un modello proprio alla ideologia paternalistica del regime di allora, costituisce un problema sociale, tecnico e politico insieme, spinoso per l’Amministrazione: abbatterlo parzialmente o totalmente, come sotterraneamente viene proposto da certi ambienti (il quartiere è integrato alla città, ben collegato da una nuova linea metropolitana alle stazioni ferroviarie e ai nuovi prestigiosi quartieri di City Life e Porta Nuova: quindi appetibile per intraprendenti costruttori) o difenderlo riqualificandone l’identità, come proposto da molte associazioni, volontarie e non, che qui vi operano e paventano un’operazione di gentrificazione? Francesca Cognetti del Dipartimento DAStU (Architettura e Studi Urbani) della Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle costruzioni del Politecnico di Milano dirige il gruppo di ricerca Mapping San Siro; Anna Delera, dello stesso dipartimento, negli scorsi anni ha svolto un’esperienza di progettazione partecipata per la riqualificazione di tre cortili del quartiere; Bianca Bottero è professore ordinario fuori ruolo di tecnologia dell’architettura, Politecnico di Milano.

Bianca Bottero. Nel quartiere San Siro è presente un gruppo di ricerca del Politecnico che tu Francesca stai dirigendo da quasi dieci anni. Vorresti dire come si è formato e quali erano gli obiettivi che perseguivate? Come pensavate di intervenire? Perché in un certo senso si potrebbe parlare di una quasi-rivoluzione rispetto alle modalità con cui in genere si svolgono gli studi nell’Università.
Francesca Cognetti. Il gruppo si è formato a seguito del workshop “Mapping San Siro” proposto da Beatrice De Carli e me, che ha suscitato molto interesse nella nostra Scuola. Era rivolto a studenti di architettura e urbanistica, oltre che a dottorandi. Hanno partecipato studenti molto bravi e motivati, ma anche un gruppo di tutor, dei ricercatori e professori di altre sedi e di altre discipline. è stato proprio un lavoro collettivo. In quel momento abbiamo coinvolto anche Liliana Padovani, che poi è stata una componente fondamentale per tutto il lavoro che è seguito. Ci sono state tantissime energie e tanto entusiasmo. È stato questo a darmi l’idea e a sorreggermi nell’iniziativa di creare un gruppo di ricerca che continuasse a lavorare nel quartiere...
Anna Delera. Questo successo e queste energie sono stati certo fondamentali per darti la spinta a un’azione tanto innovativa. Nella mia esperienza di progettazione nei tre cortili del quartiere (era il 2000), sono invece stata abbastanza sola, ho retto due anni, ma ero io e basta… avevo solo l’appoggio del Sicet (Sindacato inquilini casa e territorio) che ha ancora oggi una sede qui.
Francesca. Sì, certo! Gli studenti erano molto motivati, hanno lavorato senza alcun compenso, con un coinvolgimento personale altissimo. Per me come per loro era in certo senso una sfida… Ma vi è stato anche l’appoggio dell’allora Direttore del Dipartimento, Gabriele Pasqui, che quan­do gli ho detto che potevamo avere da Aler (l’Azienda pubblica proprietaria e gestore del quartiere popolare) uno spazio in quartiere dove insediarci come gruppo di ricerca del Politecnico (un ex-negozio di 30 mq, malandato ma legato alla strada, che è una delle più derelitte del quartiere) lui ha detto sì -che non è stata una cosa da poco- e quindi il Dipartimento ci ha sostenuto. L’iniziativa ha avuto l’appoggio anche del pro-Rettore di allora, il prof.  Alessandro Balducci; era rimasto molto colpito dall’esperienza di una giovane laureata che aveva svolto il suo dottorato in Argentina, dove i docenti hanno una parte del corso, chiamato “estensione”, da svolgersi fuori dall’università, a contatto con la realtà sociale, mettendo anche in atto processi di partecipazione.
Per me poi c’era anche una dimensione personale, un pezzo mio di cittadina: i miei figli frequentavano la scuola Cadorna, una delle due scuole di quartiere, e attraverso loro vedevo le differenze enormi con gli altri bambini, che per più del 60% erano di origine straniera; incontravo i genitori, conoscevo le madri e più le conoscevo più vedevo le diseguaglianze incredibili tra i miei figli e i loro, legate a tante piccole cose della vita quotidiana. A partire da questa esperie ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!