Stefania Amato, avvocato, è stata presidente della Camera Penale di Brescia fino a luglio 2016. Giada Ceri si occupa da tempo di temi che riguardano il carcere italiano contemporaneo e collabora a progetti del Terzo settore in ambito penitenziario.

Giada. Il “Reembolso através da leitura”, possiamo partire da qui: un programma di recupero avviato in alcuni Stati del Brasile a partire dal 2012 che prevede uno scambio tra la persona detenuta, autorizzata dal giudice in base al reato che ha commesso, e l’amministrazione penitenziaria. Questa “pena della lettura” prevede che la lettura di un libro venga ricompensata con quattro giorni di sconto della pena, fino a un totale di quarantotto giorni in un anno.
Stefania. La notizia del Reembolso è arrivata anche in Italia e ha suscitato reazioni diverse. In ogni caso può servire a discutere e mettere alla prova tanti luoghi comuni sulla “cultura che rende liberi”. Qualcuno ci ha già provato, senza successo: liberarsi attraverso la cultura, letteralmente, oltre che letterariamente. Scintille di questa idea si accendono qua e là, ma per ora subito si spengono. Eppure ce lo hanno ripetuto fin dall’infanzia che per imparare a scrivere, a parlare, a comunicare, in una parola a esistere nel mondo, dobbiamo prima imparare a leggere. E quanto bisogno c’è, di comprensione del mondo, nel mondo annullato del carcere, di raccogliere vite deragliate tentando un’instillazione di senso, indicando un percorso vero, e non solo immaginato, come impone l’articolo 27 della Costituzione.
Purtroppo l’esperienza del carcere, vissuta da operatori, da volontari, da avvocati, racconta che una grande parte dei detenuti non dispone delle basilari abilità linguistiche, non maneggia la lingua italiana, scritta e parlata, se non a un livello elementare. E non mi riferisco solo ai tanti detenuti stranieri: spesso pure quelli italiani trovano difficoltà anche solo nel firmare per ricevuta un atto giudiziario.
Giada. Eppure, quanto meno prima della pandemia, sia pur in maniera disomogenea e discontinua, le carceri italiane ospitavano molte attività culturali, corsi di scrittura, laboratori di lettura e così via che se, a mio avviso, contribuiscono ad alimentare una certa retorica sui presunti effetti ricreativi e riabilitanti della cultura, presentano anche alcuni elementi di utilità. Per esempio, e non è cosa da poco, fanno entrare in carcere il mondo di fuori -penso al volontariato penitenziario- rendendo meno chiusa un’istituzione che altrimenti rimarrebbe priva di osservatori che costringono, diciamo così, l’istituzione totale a limitarsi nell’esercizio del proprio potere. E poi quelle attività permettono alle persone detenute di uscire dalla cella… L’importante è essere consapevoli di quello che si sta facendo quando appunto si fa “cultura in carcere”.
Stefania. Capita spesso che, nelle ore vuote e interminabili, il detenuto si trovi in mano un libro e decida di addentrarsi nella storia che contiene, restando magari agganciato all’intreccio, affascinato dal protagonista, stregato dal mondo che si apre attraverso le pagine. Oppure che sia invogliato dall’educatore di turno a partecipare a un laboratorio di lettura: sempre meglio che starsene sdraiato sul letto nei tre metri quadrati di spazio a disposizione che (finalmente) le Sezioni unite della Cassazione hanno detto dover essere netti, non si conta il letto a castello.
Il Reembolso parte da un’idea di scambio in qualche modo strumentale ma esplicito, che porta alla luce del sole l’obiettivo, legittimo, per carità, e comprensibile, di vedere ridotto il proprio periodo di pena da parte del detenuto. Non diversamente da quanto succede adesso con la liberazione anticipata, che è quell’istituto per cui a fronte, in teoria, di una condotta corretta in carcere, associata a una partecipazione attiva al percorso di rieducazione, si ha lo sconto di quarantacinque giorni ogni sei mesi di pena. In pratica, per quello che purtroppo vediamo tutti i giorni, si tratta quasi di un automatismo. Ci si basa sul fatto che il detenuto non ha avuto rapporti disciplinari, quindi non ha aggredito nessuno, non si è fatto sanzionare disciplinarmente, per cui automaticamente gli vengono dati quarantacinque giorni. In realtà è difficile vedere una valutazione del magistrato di sorveglianza che concede il beneficio prestando attenzione alla partecipazione concreta del detenuto alla rieducazione. I magistrati di sorveglianza non hanno il tempo per questo, ...[continua]

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