Massimo Bardin è docente di filosofia e storia al Liceo Guarino Veronese di San Bonifacio.

L’emergenza virus ha messo la scuola e gli insegnanti in una condizione inedita. Quali sono le tue riflessioni?
Con l’arrivo dell’emergenza evidentemente gli insegnanti si sono ritrovati in una situazione del tutto inaspettata. Questo vale un po’ per tutti: nessuno aveva previsto che il Coronavirus sarebbe arrivato in Italia, che sarebbero state introdotte misure di eccezionalità, e di conseguenza che avremmo dovuto mettere in campo una didattica, diciamo, di emergenza.
Il primo momento è stato segnato da un approccio fortemente volontaristico: ciascuno di noi ha cercato di capire che cosa poteva fare da casa, con gli studenti. Avendo terza, quarta e quinta liceo scientifico, e insegnando storia e filosofia, io ho deciso di privilegiare, in qualche modo, i ragazzi di quinta, pertanto ho avviato lezioni su Skype quasi tutti i giorni, sin dalla prima settimana, per non perdere parti del programma e soprattutto per continuare il discorso avviato sia in storia che in filosofia. Con i ragazzi di quarta ho iniziato la settimana successiva, e con quelli di terza la settimana dopo. Questo anche per avere il tempo di capire come utilizzare al meglio lo strumento.
Ai ragazzi di quarta e quinta ho anche dato dei lavori a casa sotto forma di video, registrazioni, letture, esercizi, in modo da tenerli desti, occupati, per così dire, sul pezzo.
Nella mia scuola gran parte degli insegnanti si è mossa in modo analogo: nel giro di qualche giorno, attraverso la piattaforma Skype o Zoom, si sono creati abbastanza spontaneamente una sorta di gruppi classe e di insegnanti, che via chat, o via dialogo, hanno iniziato a riflettere su quale fosse la cosa migliore da fare.
C’è stato poi chi alle videolezioni ha preferito registrazioni e compiti, chi si è concentrato su esercizi quotidiani... Comunque il corpo insegnante si è mosso, direi, con grande disponibilità.
La scuola, dal canto suo, ha cercato di governare e di dare un ordine a tutte queste spinte volontaristiche. Questa governance è stata agevolata dalla presenza di strumenti telematici già in uso, in particolare il registro elettronico e le cosiddette classroom, cioè dei luoghi virtuali in cui fare lezione.
Devo dire che nei primi giorni abbiamo incontrato delle difficoltà nell’utilizzo di questi strumenti, un po’ perché erano del tutto nuovi per noi insegnanti (ma anche per gli studenti!), un po’ perché l’intero sistema aveva bisogno di essere rodato.
Una volta partiti, direi che in generale la didattica a distanza alla fine sta facendo emergere quelle che sono le caratteristiche del singolo insegnante, del singolo studente. L’insegnante diligente si è subito preoccupato di tenere impegnati i ragazzi, quello magari più sbrigativo si è limitato a dare qualche esercizio da fare sul registro elettronico... Dall’altra parte, gli studenti hanno mostrato attitudini e modalità che in fondo già conoscevamo. Cioè lo studente volenteroso, che ha voglia di approfondire, di fare, si è subito dimostrato disponibile anche a questa didattica a distanza; lo studente che ha meno voglia di fare, fa più fatica, è meno presente alla lezione, magari arriva in ritardo.
Insomma, la prima osservazione è che non è che il mondo che noi incrociamo a scuola, e quello che incrociamo online siano tanto diversi.
Tuttavia ci sono, secondo me, altre riflessioni da fare. Ad esempio, nel mio caso, è mancato completamente il rapporto con i genitori. A oggi non c’è stato un genitore che abbia preso contatto con me; né sono arrivate indicazioni dal provveditorato a questo proposito. I grandi assenti da questa scuola della didattica d’emergenza sono i genitori.
Come ti spieghi questa assenza di rapporti con i genitori?
Diciamo che io avrei una mia parziale spiegazione. Da tempo penso, con dispiacere, che il collante che tiene insieme i vari soggetti della scuola sia il voto. Almeno, nei licei funziona così e in quelli di città ancora di più. Il fatto che questa situazione emergenziale abbia, per forza di cose, tolto di mezzo l’ansia del risultato, ha contestualmente tolto di mezzo anche i principali protagonisti di quest’ansia, che sono poi i genitori.
Oggi un genitore si affida sostanzialmente a questo strumento per capire se il figlio funziona a scuola; è attraverso il voto che si relaziona alla scuola e agli insegnanti.
Quindi il voto come collante, ma ansiogeno.
È così. Per gli studenti il ...[continua]

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