Bruno Manghi, sociologo, già sindacalista Cisl, ha pubblicato Far del bene. Il piacere del dono e la generosità organizzata, Marsilio 2007.

Vorremmo parlare con te di Pierre Carniti, di cui sei stato amico fraterno...
Parlare di Pierre per me è una cosa molto personale, perché, insomma, io sono uno dei tanti a cui lui ha cambiato la vita. Io ero all’università, facevo l’assistente, stavo per fare la libera docenza, collaboravo già con il sindacato, la Fim di Milano, ma poi il fascino dell’epoca e quello di Pierre, a un certo punto mi hanno fatto lasciare baracca e burattini e iniziare un’altra vita col sindacato. Pierre era giovane, un combattente, una persona affascinante. Veniva dalla provincia di Cremona, aveva fatto il tipografo e da ragazzo, con un gruppo di amici della zona, tra cui Alquati, si occupava già della condizione contadina. Fin da giovane, lui in particolare in quel gruppo, era animato da una grande passione sociale. Il loro capostipite, che poi morì suicida, era stato Danilo Montaldi. Quel mondo padano era molto vivo. Poi le esperienze più originali sono sempre quelle giovanili.
Quindi Pierre si fece notare e un onorevole che era stato anche sottosegretario, una figura del mondo contadino bianco, Amos Zanibelli, autore della legge per le case popolari ai contadini, lo segnalò all’organizzazione. Così lui con altri venne selezionato per fare il famoso “corso lungo” del Centro studi di Firenze, un corso di studi molto severo e attento anche alla scrittura e alla cultura generale. Il grande capo era il professore Mario Romani. Con Pierre c’erano Marini e Mario Colombo, tra i tanti bravissimi che si formarono a Firenze.
La formazione era importante nella Cisl?
Sì, era obbligatoria. Nella Cisl  e nella Fim le si destinava sempre una quota di tempo. Quindi grandi sentimenti e molto approfondimento, molto studio. Mi viene in mente il libro che Pierre mi aveva prestato quando ci siamo conosciuti, e non mi ha mai regalato, di Rinaldo Rigola, il fondatore della Cgil, un operaio cieco per infortunio sul lavoro e immigrato.
Terminato il corso, poi ognuno veniva mandato in un posto d’Italia a fare qualcosa; non era previsto che uno tornasse da dove era venuto. Così lui venne mandato a Legnano dove cominciò la sua esperienza metalmeccanica.
Come avveniva l’incontro con gli operai?
Allora non c’erano permessi sindacali, l’unica cosa che si poteva fare era aspettare i lavoratori a fine turno per parlargli.  Solo nelle aziende medio-grandi, dove c’era il commissario interno, avevi la possibilità di entrare. Il commissario interno era quello che sapeva tutto della fabbrica.
Questi sono i primordi. Pierre partecipò alla stagione dei primi conflitti per i contratti, che cominciarono alla fine degli anni Cinquanta. Ma tutti gli anni Sessanta furono grandi anni di preparazione, senza i quali il ’68 e il ’69 non sarebbero esistiti. Il sindacato si faceva strada tra mille difficoltà e Pierre, di quegli anni fu un protagonista, ovviamente con delle tesi. La Fim in particolare sosteneva la tesi del salario legato alla produttività e l’idea di un sindacato che si fa prima di tutto in fabbrica. Quello è il punto di partenza che segna la differenza tra il sindacalismo industriale, praticato ovviamente anche dalla Fiom e dalla Uilm,  e il sindacalismo agrario che era il suo fratello maggiore e che era un sindacalismo delle piazze, non dei campi. D’altra parte eravamo nel pieno della grande industrializzazione.
Poi Pierre venne a Milano, cominciavano le lotte interne e lui molto presto si convinse della necessità dell’unità d’azione e trovò anche degli interlocutori. Nei primi anni Sessanta due vertenze importantissime scossero Milano, quella degli elettromeccanici e quella dei premi di produzione. Lì si fece il primo comizio unitario che, però, per sfuggire alla condanna delle confederazioni che non vedevano di buon occhio questo eccesso di unità, si svolse al Vigorelli. Il tutto fu orchestrato da Carniti e dall’allora segretario socialista della Camera del lavoro di Milano, Di Pol, che poi morì in un incidente stradale. I due cortei arrivarono al Vigorelli contemporaneamente e lì si fecero i comizi. Quella data divenne famosissima. Ma erano giovani i sindacalisti, erano giovani i lavoratori. Con in più questi commissari interni che erano più anziani e che, però, sapevano tutto. Senza di loro quel lungo periodo di vigilia non ci sarebbe stato. Quando si faceva il direttivo del sindacato con Carnit ...[continua]

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