Guido Crainz, storico, è stato docente di Storia contemporanea all’Università di Teramo. Il libro di cui si parla nell’intervista è Il sessantotto sequestrato. Cecoslovacchia, Polonia, Jugoslavia e dintorni, con saggi di Pavel Kolá, Wlodek Goldkorn, Nicole Janigro e Anna Bravo (Donzelli, 2018).

A cinquant’anni di distanza, hai deciso di raccontare un 68 poco conosciuto, quello dell’Europa centrale...
Questo libro è nato quarant’anni fa grazie a Lisa Foa. Nel primo decennale del 68, Lisa mise insieme alcuni di noi, e uscirono sei pagine su "Lotta Continua” di riflessione critica su quelle vicende. Lei era redattrice dell’edizione italiana della "Monthly Review”, rivista dove, nel 1968 Leo Huberman aveva scritto : "I cecoslovacchi volevano democratizzare il sistema...Questa era la realtà. Perché i cechi non avrebbero dovuto voler democratizzare il sistema? Essi volevano la libertà di parola e di stampa. Cosa c’è di delittuoso in questo?”.
Ecco, era da lì che bisognava partire: cosa c’era di delittuoso?
Dietro questo libro ci sono poi migliaia di consigli di lettura sempre di Lisa. Lo stesso titolo "Il sessantotto sequestrato” viene da un intervento di Kundera (L’Occidente sequestrato) segnalatomi da lei, che contestualmente mi aveva suggerito di lavorare a un documentario per Radio Tre su questi temi. All’epoca infatti c’era stato un dibattito tra intellettuali poco conosciuti allora, Milos, lo stesso Michnik.
Insomma, mi è sembrato che appunto quel seme che aveva gettato Lisa fosse stato poco coltivato. Di qui l’idea di andare a studiare cosa fosse davvero successo in quell’Europa che non abbiamo capito e che forse continuiamo a non capire, quindi la Cecoslovacchia, la Yugoslavia e la Polonia.
Devo dire che per me forse il caso più impressionante resta la Polonia. La gente sbarra gli occhi quando, presentando il libro, racconto che la repressione antistudentesca e controintellettuale seguita alle agitazioni nelle università polacche avvenne all’interno di una campagna antisemita.
Io lo ricordo personalmente. Mi ricordo quando arrivarono le ragazze polacche...
Nel libro È andata così, Lisa le nomina: Marta Petrusewicz, Lucyna Gebert, Nelly Norton, Irena Grudzinska…
Durante la repressione le carceri si riempirono di giovani e per moltissimi docenti e intellettuali iniziò l’esodo. Dei trentamila ebrei che vivevano nel paese prima del 1968 ne rimasero poco più della metà.
Io ho scoperto solo molto dopo che Goldkorn, che avevo conosciuto grazie a Lisa, era arrivato allora. E però, pur essendo venuti qua, non li avevamo visti! Questo aggrava le nostre colpe: erano in mezzo a noi, erano qui, eppure nell’opinione comune questa vicenda era passata quasi inosservata. E anche i quotidiani che ne parlarono, lo stesso "Corriere della sera”, non è che gli diedero grande rilevanza...
Tu parli di un’insensibilità della sinistra per quei giovani che, a Est, stavano lottando per la libertà.
Questo vuoto chiama in causa un’insensibilità che certo è stata nostra, della sinistra. L’"Unità”, ai tempi del 68 polacco, pubblicava i comunicati del regime. Pubblicò senza battere ciglio l’accusa che ci fosse un complotto sionista. Qualche volta affiancava l’agenzia contraria. A rileggere quei documenti, colpisce come non ci fu una grande insurrezione europea di fronte a questo riemergere dell’antisemitismo in un regime comunista.
Mi è sembrato dunque doveroso porre anche questo problema, con un’aggiunta, che è una banalità: per la successiva storia del nostro continente, il mitico Maggio francese ha avuto meno effetti di quanto accaduto in questi paesi. Certo, dal punto di vista della creatività, delle arti, del costume, della psicanalisi, del femminismo, ci fu un rivolgimento. Però tieni conto che Cohn-Bendit, uno dei leader del 68 francese, la prima cosa che fa è occupare il collegio femminile perché era vietato l’accesso. Insomma sono accadute tantissime cose sul piano culturale e del costume, però, ripeto, sul piano della storia europea, il 68 polacco e cecoslovacco hanno un impatto epocale: lì si sancisce che il comunismo non è riformabile, punto.
Nel 1971, nelle Tesi sulla speranza e sulla disperazione, Kolakowski annotava: "Il monopolio dispotico del sistema non può essere rimosso parzialmente, dato che il monopolio non può essere parziale”. Il senso era: guardate che se c’è un monopolio non è che puoi riformarlo parzialmente, se ne tocchi un pezzo crolla tutto perché il monopolio è il monopolio.
Chi s ...[continua]

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