Michel Wieviorka, è Direttore di ricerche presso l’Ehess e direttore del Cadis, centre d’analyse et intervention sociologique. Ha recentemente pubblicato "La Diversité”, una ricerca commissionata dal Ministero per la Ricerca e la Formazione francese.

Recentemente è stato incaricato di redigere un "Rapporto sulla diversità” per il Ministero dell’insegnamento. A che punto è il dibattito?
La questione della diversità ci pone di fronte a due diversi livelli di riflessione. C’è un livello strutturale, che riguarda la tensione tra i valori universali e il riconoscimento dei particolarismi. E’ un dibattito che si può regolare in modo diverso, ma dappertutto i politici, gli intellettuali cercano di trovare delle risposte, diciamo, ragionevoli.
All’interno di questa dimensione strutturale, ci sono due posizioni principali che si protraggono da almeno 40 anni. Se andate negli Usa, vi diranno che bisogna scegliere tra liberal o communitarian. Se venite in Francia, vi diranno di scegliere tra "repubblicani” e "comunitaristi”. In ogni paese c’è un dibattito analogo, ma questo è un problema di filosofia politica dovuto al fatto che oggi le identità particolari chiedono di essere riconosciute.
In origine, quello della differenza era un problema interno. Per dire, negli anni Sessanta in Italia si parlava dell’identità sarda, o della identità siciliana, come in Francia si parlava di identità bretone o corsa, arrivando a formulare, in certi casi, il concetto di "colonialismo interno”.
A partire dagli anni ’80 e ’90, questo dibattito è proseguito alimentandosi, talvolta fino all’esasperazione, della questione della migrazione. Via via che gli immigrati arrivavano era sempre più evidente che le differenze, lungi dall’essere dati stabili, formavano un melange di continue riproduzioni e invenzioni, di trasformazioni continue.
I nuovi immigrati, insomma, non corrispondevano più al modello classico della migrazione, che consisteva nel dire: "Io vengo da un paese, arrivo in un altro paese e nell’arco di due generazioni la mia identità scompare e resta solo qualche abitudine culinaria”. A ciò si aggiunga che questa tensione strutturale nel dibattito della filosofia politica si è complicata perché i problemi sono sempre più spesso interni ed esterni contemporaneamente.
Per dire, se discuti con un messicano, non puoi discutere delle questioni del Messico senza parlare degli Stati Uniti. O prendiamo la questione curda, che è un problema presente in Turchia, in Francia, in Germania, in Europa insomma.
Allora, la questione della diversità apre problemi difficili da affrontare perché pur essendo presenti dentro i nostri Stati nazione, hanno una dimensione globale e a loro volta sollevano questioni relative alla storia, al passato, e questioni politiche, culturali.
Questo per quanto riguarda la questione di partenza, quella strutturale, che tra l’altro si articola in modo diverso da paese a paese.
Prendiamo l’Italia e la Francia. In Italia, una parte degli immigrati arriva da paesi diciamo ex coloniali (per quanto l’Italia non abbia avuto una presenza coloniale significativa) poi ci sono immigrati che vengono dallo Sri Lanka o dalla Nigeria, persone che non hanno niente a che vedere con il passato italiano. La Francia è diversa, per certi versi si trova in una situazione più complicata, perché molti immigrati vengono dalle vecchie colonie. Poi c’è il fatto che chi viene dall’Africa del Nord non è uguale a chi viene dall’Africa sub-sahariana. E ancora c’è il difficile rapporto con la Turchia e, in generale, con tutto ciò che riguarda l’islam.
Un altro dato interessante è che il dibattito sulla diversità può essere declinato in varie forme. Spesso la discussione investe la questione sociale: bisogna fare discriminazione positiva, quella che in America è nota come "affirmative action”? Bisogna fare politiche volontariste?
I francesi hanno proposto le Zep, delle politiche territoriali che consistono nel dare alle scuole pubbliche di alcuni quartieri svantaggiati degli strumenti supplementari per mettere sullo stesso piano i ragazzi cresciuti in questi quartieri e i ragazzi cresciuti in quartieri più favoriti. Queste sono politiche sociali.
Altre volte la questione sulla diversità si sposta sul campo religioso. Negli ultimi anni, in Francia, ci sono stati dibattiti molto accesi sulla laicità. Ma lo stesso problema si è posto, per esempio, in Quebec.
Parallelamente, altre identità chiedono riconoscimento su a ...[continua]

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