Patrizia fa la “mamma sociale” nell’ambito del progetto Chance contro la dispersione scolastica. Vive a Barra, Napoli.

Sono la madre di tre ragazzi. Adesso sono adulti, il più grande è già sposato, la ragazza si deve sposare quest’anno, l’ultimo ha vent’anni.
La mia storia? Sono originaria di Napoli centro. La mia vita non è stata facile. Mia mamma è morta giovane, quando ci ha lasciato eravamo in sei, tre femmine e tre maschi. Io ero la seconda, ho una sorella maggiore. Il minore aveva sei anni. Come abbiamo fatto? Che problemi! Il piccolo non voleva andare a scuola. E non ti dico quando arrivava la festa della mamma che bisognava fare il tema… una tragedia! Bisognava andarlo a prendere a scuola.
Comunque ce la siamo cavata. Siamo diventati grandi e ognuno ha preso la sua strada.
Io sono stata sposata, poi mi sono separata, di fatto, non per legge, perché non ho avuto la possibilità di prendermi un avvocato e quindi... Comunque ormai sono quasi 13 anni che non stiamo assieme. Da ragazza facevo la macchinista in una fabbrica di alta sartoria a Portici. Era un lavoro che mi piaceva. Quando mi sono sposata ho lasciato, poi quando i ragazzi hanno cominciato ad andare a scuola, ho avuto la possibilità di fare un po’ di volontariato dalle suore. Ora sono dieci anni che lavoro tutti i giorni coi maestri di strada.

A Chance faccio la “mamma sociale”. Cosa vuol dire? Che mi prendo cura dei ragazzi. Mi piace e mi gratifica. Si fa accoglienza, si ascoltano i loro problemi, si entra un po’ nella loro vita, se si può li si aiuta. Poi aiutando loro io aiuto me stessa, è questo il fatto, è un lavoro che mi fa star bene.
La giornata comincia con l’arrivo dei ragazzi. Quando entrano gli facciamo fare la prima colazione, ogni ragazzo ha le sue esigenze, c’è chi vuole il cornetto e chi invece il wafer o i crackers, ormai li conosciamo, poi c’è il succo di frutta...
Oltre all’accoglienza, facciamo anche servizio sul corridoio. Ad esempio, quando i ragazzi non riescono a stare in classe, escono e noi li teniamo qua nello “spassatiempo” e vediamo un po’ cos’hanno, perché stanno nervosi. Li aiutiamo a tranquillizzarsi per poi rientrare in classe. Cos’è lo spassatiempo? E’ la stanza dove fanno colazione, ma poi è anche la nostra stanza “decompressiva”, dove i ragazzi vengono se sono agitati e noi cerchiamo di contenerli, di farli calmare… Ci sono tanti modi. Si può parlare, leggere un libro. Si può anche solo stare zitti. A volte infatti a sentirsi ripetere le stesse cose si agitano ancora di più, allora stare in silenzio può essere più efficace. Mi piace moltissimo stare coi ragazzi perché ho la sensazione di fare qualcosa di buono, poi non so.
C’era un ragazzo in particolare, si chiamava Ciro, si metteva sempre in corridoio, si prendeva una sedia e non si riusciva a smuoverlo, sembrava il portinaio della scuola, non riusciva a entrare in aula, né a fare niente.
Un giorno, non so, ero con una collega e abbiamo avuto l’intuizione di prendere un gioco di costruzioni, “Il meccano”. Ecco, attraverso quello lui è riuscito a fare dei gran passi avanti. Ha iniziato a scrivere quello che faceva, poi si è messo a leggere. Sembra poco, ma per me è stata una cosa bellissima.
Delle volte, per tranquillizzarli può andar bene anche un massaggio, o delle coccole, un po’ le cose che fanno le mamme. Molti di questi ragazzi non conoscono nemmeno i giochi. Ecco, in questo spazio, nel break abbiamo insegnato loro a giocare a dama, un gioco in cui bisogna rispettare delle regole.

Alcuni di questi ragazzi abitano dove abito io e devo dire che purtroppo mi è capitato di rivederne qualcuno dopo anni e capire che non ero stata d’aiuto come credevo. E’ così, ed è triste. Quando vedi che, nonostante tutti i tuoi sforzi, i ragazzi alla fine hanno preso la strada dei padri, beh, sono cose che fanno male. Hai dato tanto, ti sei affezionata e però…
C’è un ragazzo di questi che stanno dalle mie parti che quando mi vede non mi saluta. Io lo cerco con lo sguardo, ma lui guarda a terra, forse si vergogna, fa finta proprio di non vedermi. Devi fare i conti anche con questo.
Fare la mamma sociale a volte ti fa anche soffrire. Ci sono queste storie, magari tu fai tanto, ma prendono comunque quella piega. E allora ti senti proprio sconfitta…
Alle volte penso che ci vorrebbe proprio una bacchetta magica. Più che altro bisognerebbe lavorare con le famiglie per cambiare la mentalità. Io comunque non perdo la speranza perché anche i miei fig ...[continua]

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