Il Teatro dell’Oppresso (TdO) è un metodo teatrale creato da Augusto Boal, nel Brasile della dittatura degli anni ‘60, ispirato alla pedagogia di Paulo Freire. Ha l’obiettivo di fornire a chi si trova in situazione di oppressione uno strumento di espressione che gli permetta di conoscere e trasformare la realtà in maniera critica.

Come siete arrivati al metodo del TdO?
Josè Luis. Ne conoscevamo già la teoria dal 1983, attraverso i testi di A. Boal. Abbiamo fatto nostra la filosofia per cui il teatro e l’arte sono proprietà del popolo ed è necessario restituire al popolo i mezzi di produzione teatrale e artistica. Nel 1988 abbiamo conosciuto Boal e da allora abbiamo iniziato ad applicare il metodo. In seguito a vari scambi e laboratori, tra cui quello condotto dal gruppo italiano di TdO “Giolli” nel 2004, è nata la Red (rete) del TdO in Bolivia, che unisce gruppi provenienti da differenti dipartimenti: Oruro, Potosì, Cochabamba, Sucre, Santa Cruz de la Sierra.
Il progetto con cui la rete ha iniziato a lavorare si chiama “Difusión de la Asamblea Constituyente a través del TdO”. Si tratta di realizzare spettacoli di teatro, in cui ogni gruppo presenti il proprio lavoro individuale, su una base collettiva che tratta la storia della Bolivia, dall’epoca precoloniale fino ai nostri giorni. Il tutto focalizzando il tema della Costituzione, le sue differenti tappe storiche, fino all’attuale processo di Assemblea Costituente.
Che tipo di lavoro state portando avanti adesso?
Josè Luis. Continueremo il lavoro iniziato nel 2004, cioè il processo di “Teatro legislativo”. Attraverso il teatro stiamo raccogliendo domande e proposte da presentare all’Assemblea Costituente. Viviamo in un nuovo scenario politico, con un nuovo governo di carattere popolare. L’idea è di costruire ponti fra il parlamento e la società civile. Questo è il ruolo che giochiamo e per questo teniamo i contatti direttamente con i costituenti eletti.
Vladimir. In questo periodo particolare il tema dell’Assemblea Costituente è l’asse portante del nostro lavoro: lavoriamo con i più piccoli gruppi di quartiere, con le scuole, con le università, con i sindacati e con la gente che vive in strada. In altri periodi e più in generale lavoriamo con differenti forme di oppressione e violenza che si presentano nella società, che siano di tipo domestico, nell’ambito del lavoro, dell’educazione, nel campo dei diritti umani.
Parallelamente ci occupiamo di formazione con organizzazioni che lavorano per la tutela dei diritti umani, come l’Assemblea Permanente per i Diritti Umani di La Paz. Inoltre stiamo collaborando con alcuni gruppi universitari che si occupano di problemi di genere e con noi stanno considerando le discriminazioni che vivono le donne leader nelle università, le venditrici nei mercati, le collaboratrici domestiche, ed in generale le donne che lavorano in contesti tradizionalmente maschili. Abbiamo formato alcune persone rispetto all’utilizzo del metodo ed ora queste lo diffondono nelle rispettive comunità. In questo momento a Santa Cruz molte organizzazioni di popoli indios in particolare si stanno attivando rispetto alla Costituente. Questo influenza il comportamento del governo. La domanda sociale rompe la litania permanente della paura, del sentirsi politicamente e socialmente schiacciati da un oppressore: Banzer, Jaime Pasamora, Sanchez de Lozada... Questo paese ha vissuto un’epoca che i giovani non hanno conosciuto, ed anche con loro vogliamo lavorare sul tema “Cosa vuole il giovane dal futuro?”. Cioè chi è il giovane del futuro? Sarà uno che non ha passato quello che noi abbiamo passato.
Qual è la reazione della gente?
Vladimir: Quando si parla di TdO la gente si spaventa. Addirittura nei contesti educativi, nelle scuole. Si spaventa a sentir parlare di un teatro che mette in discussione i regimi autoritari. In particolare si spaventano gli “intellettuali“, che più si intendono di arte, di teatro, di letteratura, che sono stati protagonisti della riforma educativa. Si spaventa la gente che non vuole cambiare. Perché il TdO è il linguaggio della crisi: rivela che c’è dittatura anche se ci consideriamo in democrazia. Lo stato di oppressione è parte del sistema stesso, del sistema economico. Molte volte ci chiediamo perché stiamo facendo TdO: per trasformare da dentro. E per fare questo dobbiamo essere molto fantasiosi e saperci mettere nella testa della gente, aprire finestre e demistificare molti aspetti, decif ...[continua]

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