Massimo Amato e Luca Fantacci insegnano Storia Economica all’Università Bocconi di Milano. Si occupano da anni di storia delle istituzioni e del pensiero monetario occidentale. Lavorano alla costruzione, teorica e pratica, di forme monetarie fondate sulla non accumulabilità del denaro.

Voi vi occupate delle trasformazioni che si sono avute nelle concezioni e nelle modalità d’uso della moneta. Erano così diverse da quelle attuali?
Luca Fantacci. Il fulcro della nostra indagine riguarda il modo in cui sono state costruite le istituzioni finanziarie dell’Occidente europeo. E’ nel corso di queste ricerche che abbiamo verificato che, soprattutto negli ultimi due-trecento anni, esse hanno progressivamente subito una perdita le cui conseguenze sociali e culturali sono assai profonde. Ciò che si è perso sono alcune distinzioni essenziali rispetto al ruolo della moneta. Fra il XIII e il XVI secolo in Europa si sono create delle istituzioni monetarie diversificate a seconda dell’ambito di circolazione, o della funzione, cui la moneta doveva rispondere. In particolare, ogni area economico-politica di una certa estensione o consistenza aveva due monete, una interna -dai nomi più diversi e coniata coi metalli più vari- che serviva per pagare il lavoro e che, quindi, serviva ai lavoratori per comprare di che vivere, ed una esterna, che invece serviva negli scambi commerciali tra una comunità e l’altra, per pagare i movimenti internazionali di merci. Questa moneta intercomunitaria non costituiva un’alternativa alla moneta locale. Era anzi articolata con quella attraverso leggi che stabilivano formalmente il tasso di cambio tra le due, istituendo in tal modo una sorta di confine monetario. Tale confine era però attraversabile, perché la legge, nella misura in cui regolava il corso di queste monete, regolava anche i rapporti di ogni comunità con le altre e perciò riconosceva anche a ciascuna comunità la sua identità e la sua autonomia economica. A questo doppio regime della moneta si aggiungeva poi una seconda grossa differenza rispetto alla moneta odierna, cioè il divieto del prestito a interesse. Questo divieto non implicava assolutamente una negazione del credito, ma anzi consentiva che ci fossero delle istituzioni finanziarie specificamente preposte a fornire anticipazioni per l’avvio di nuove attività produttive entro i limiti di precise responsabilità, sia per i creditori sia per i debitori. Chi prendeva i soldi doveva rendere conto dei risultati dell’impresa attraverso la restituzione della somma avuta in prestito, spesso con l’aggiunta di una partecipazione del creditore ai profitti che questa attività imprenditoriale consentiva di realizzare. Chi, invece, i soldi li prestava aveva la responsabilità di mettere il debitore nella condizione di onorare il suo debito, in modo tale che i debiti non si accumulassero e non si protraessero indefinitamente. Questa doppia responsabilità si concretizzava in una chiusura periodica dei conti, secondo un ritmo allo stesso tempo economico e naturale. Questo è un altro aspetto che, nei sistemi precapitalistici, viene sempre esplicitamente regolamentato ed ha a che fare con il ritmo delle stagioni. Era in virtù di questo ritmo che, ad esempio, le fiere rinascimentali dei cambi, le istituzioni finanziarie internazionali di quell’epoca, avevano una cadenza trimestrale, che corrispondeva alle produzioni stagionali dell’agricoltura. In occasione di tali fiere, a conclusione dello scambio delle merci, si tiravano le somme degli scambi monetari avvenuti fra una fiera e l’altra. L’idea che reggeva tutto, in sostanza, era quella che ci dovesse essere un momento in cui “tirare una riga”, chiudere la partita, per poter liberamente ripartire…
Massimo Amato. Da tutto questo emerge che in quell’epoca non era possibile pensare la moneta al di fuori di quel campo di relazioni che chiamiamo “politica”. La moneta, anzi, si rivela come uno strumento -non l’unico, ma certo uno strumento centrale- attraverso cui una comunità politica riceve la sua forma. Quello delimitato dall’uso della moneta era, infatti, uno degli ambiti in cui venivano resi possibili, o impossibili, tutta una serie di comportamenti significativi non solo economicamente, ma anche politicamente. C’è poi un altro aspetto, con un peso simbolico ancora più forte: la relazione debito-credito. In generale, va detto che è proprio nel rapporto tra debito e credito che, di fatto, la moneta diviene uno strumento, non solo econo ...[continua]

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