Vjosa Dobruna, già premio Alexander Langer 2000, pediatra, è presidente della Radio e Televisione pubblica del Kosovo, Rtk.

A Vienna si sono da poco conclusi i primi colloqui sul futuro status del Kosovo. I kosovari rimangono fermi nella richiesta di una piena indipendenza. Perché non una larga autonomia?
Nei sei anni successivi alla fine della guerra il Kosovo è stato governato dalla missione Onu, in base alla risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza, che definiva il Kosovo “regione senza un vero status” e riconosceva la sovranità della Yugoslavia, quella sovranità peraltro già lesa dall’intervento Nato. Dopo la dissoluzione della Yugoslavia e la creazione delle due entità di Serbia e Montenegro, la sovranità sul Kosovo è passata alla Serbia, che è un altro assurdo, perché un tale passaggio a rigore necessitava di una nuova risoluzione Onu, mai redatta. La comunità internazionale fin dall’inizio ha sostenuto che la sovranità sul Kosovo spetta alla Serbia. Solo tre anni fa hanno avviato un’indagine che ha rivelato il tasso di frustrazione della nostra gente per questa situazione. Uno status “undefined” lascia infatti il Kosovo escluso da qualsiasi tipo di investimento sia internazionale che nazionale, perché manca la sicurezza. E questo ci porta alla situazione attuale: assenza di sviluppo economico e un tasso di disoccupazione che supera il 60%. E consideriamo che qui ogni anno nascono 100.000 bambini!
La definizione dello status finale del Kosovo non può essere ulteriormente rimandata. Nel tempo sono state emanate varie risoluzioni da parte del Parlamento europeo e dalla Commissione europea, dell’America, del Gruppo di contatto, che monitorizza lo sviluppo dei Balcani. Fanno tutte riferimento ad alcune linee-guida, condizioni, o raccomandazioni. La prima è che il Kosovo non può tornare allo status precedente il 1999. La seconda, che non può unirsi ad alcun altro Paese confinante, nello specifico Macedonia e Albania -curiosamente non viene citata la Serbia! E la terza è che dobbiamo rispettare l’integrità territoriale dei Paesi confinanti con il Kosovo.
Questi sono i tre principi fondamentali da rispettare, così stabiliti dalla comunità internazionale.
Il secondo gruppo di raccomandazioni riguarda otto standard, la maggior parte dei quali fa riferimento ai diritti delle minoranze etniche. E sarò più precisa: si tratta dei diritti della comunità serba in Kosovo. Infatti non si fa riferimento alla popolazione albanese, bosniacca o rom, agli ashkali, egiziani, turchi… si tratta fondamentalmente di misure per il ritorno dei serbi e la loro reintegrazione. Questo è il cuore degli standard che sono stati dati come “compito per casa” ai kosovari.
Allora, è inutile dire che l’ideale sarebbe che tutte queste condizioni venissero soddisfatte non solo in Kosovo, ma in tutti i paesi. Il problema è che la maggior parte degli strumenti per raggiungere questi standard non sono nelle mani dei kosovari, bensì in quelle della comunità internazionale. Tutti i meccanismi di giurisdizione rispetto alla polizia, alla sicurezza sono fuori dal nostro controllo. Quindi i kosovari possono fare il lavoro politico, lavorare sulla riconciliazione, sulla tolleranza, ma questo è tutto. Non esiste un meccanismo legale, a nostra disposizione, che ci renda autonomi nel realizzare questi obiettivi.
Insomma, c’è una sorta di ambiguità rispetto a questi standard. Gli altri riguardano lo stato di diritto, la democratizzazione, i media, lo sviluppo economico. Inoltre gli standard sono stati dati come bastone per avere la carota, ovvero le negoziazioni sullo status finale, ma questo è sleale. Per anni ci hanno posto di fronte alla non realizzazione di questi parametri per non procedere con le negoziazioni. Ci hanno detto che la questione dello status andrà parallelamente alla soddisfazione degli standard. Ma quegli stessi standard non trovano piena realizzazione nella maggior parte dei paesi europei.
Un altro nodo cruciale è la negoziazione con la Serbia, che infine ci è stata comunque imposta. Non conosco un solo kosovaro, politico o semplice cittadino, disposto a dialogare con la Serbia rispetto allo status finale del Kosovo. Io resto dell’idea che la Serbia ha perso ogni diritto il giorno che ha cominciato a organizzare un genocidio contro gli albanesi kosovari. Voglio dire, se organizzi un genocidio contro una popolazione del tuo stesso Paese (come loro tengono a sottolineare), beh, è evidente che poi non puoi più ri ...[continua]

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