Bruno Trentin, già segretario generale della Cgil, è oggi parlamentare europeo dei Ds. L’intervista è stata fatta prima dello svolgimento del referendum del 15 giugno.

Come valuta il referendum sull’estensione dell’art. 18 alle imprese con meno di 16 dipendenti?
Intanto bisogna ricordare che la proposta di referendum è nata dopo che su questo tema si erano già raggiunti, in questi anni, risultati importanti.
Uno di questi, molto importante, fu quello ottenuto in occasione del referendum promosso da Marco Pannella per abolire l’articolo 18: un referendum che non raggiunse il quorum, ma nel quale, comunque, si espresse una grande maggioranza di no e che segnò un duro colpo per le forze che, da anni ormai, perseguivano l’obiettivo di cancellare l’articolo 18.
Bisogna poi ricordare che nel 1990 le tre confederazioni sindacali avevano di fatto sponsorizzato una legge che estendeva alle piccole aziende la nullità del licenziamento individuale quando fosse stato deciso per unica colpa dell’imprenditore, ma che non imponeva, al pari dell’art. 18, il reintegro del lavoratore, lasciando aperte le varie soluzioni. Questo per ragioni di merito abbastanza evidenti: nelle piccole e piccolissime unità lavorative, di produzione o di servizio, dove prevalgono i rapporti umani, interpersonali, imporre la coabitazione dopo una rottura, che coinvolge anche questi rapporti, molte volte è una cosa impossibile, non voluta innanzitutto dal lavoratore vittima del provvedimento di licenziamento.
Sarebbe come se in una causa di divorzio la persona che vede rotto il rapporto matrimoniale non per colpa sua fosse obbligata a ritornare sotto il tetto coniugale, e che questo glielo si presentasse come una sua vittoria.
Quindi c’era già questa legge del ‘90 che vedeva nel reintegro un’opzione possibile, ma concentrava il fuoco sulle sanzioni economiche che dovevano essere addebitate all’imprenditore.
Infine questo referendum veniva dopo la manifestazione del 23 marzo dell’anno scorso che ha segnato una svolta anche nell’opinione pubblica del paese, al punto da indurre una parte degli imprenditori a dissociarsi apertamente dall’offensiva della Confindustria, e lo stesso governo Berlusconi a raffreddare, e di molto, l’offensiva che voleva condurre contro l’articolo 18.
Premesso tutto ciò, direi che questo referendum va a inasprire la sanzione sulla piccola e piccolissima impresa non a tutela del lavoratore, perché prescriverebbe un obbligo che nella maggior parte dei casi verrebbe scartato dallo stesso lavoratore. E questo senza offrire alcuna risposta ai veri problemi del mondo del lavoro oggi, che sono quelli dei lavoratori con contratti atipici, con contratti, cioè, a tempo determinato, interinali o di collaborazione coordinata e continuativa.
Bisogna rassegnarsi a credere, allora, che gli obiettivi del referendum non fossero tanto quelli di garantire un miglioramento alle condizioni e ai diritti dei lavoratori delle piccole imprese, quanto quello di svolgere un ruolo politico destabilizzante del movimento sindacale e della sua unità. Con in più una piccola controindicazione: il referendum, come era prevedibile, ha rilanciato in Berlusconi la volontà di riaprire tutto il capitolo dell’art.18.
Per ragioni di merito, quindi, e anche per ragioni politiche generali, penso che bisogna battersi perché il referendum non ottenga il quorum e anche perché all’interno del referendum si esprima una volontà chiara dei lavoratori. Penso che la scelta più giusta in questo momento sia quella, non già di disertare il voto, tanto più che si vota anche per un altro referendum, bensì quella di non prendere la scheda del referendum per l’articolo 18.
Fermo restando che l’attacco all’art. I8 era un attacco politico ai lavoratori e ai loro diritti e che in quanto tale andava respinto, aver insistito tanto da parte di Cofferati sul “diritto fondamentale”, non ha in qualche modo dato il destro all’operazione politica di Rifondazione? Se il reintegro è un diritto fondamentale perché non deve essere esteso a tutti? Dopodiché, però, dovremmo anche concludere che in Germania (dove l’alternativa fra reintegro e risarcimento è affidata al giudice) non sono rispettati i diritti fondamentali dei lavoratori?
Non credo che questo sia stato un limite, perché si tratta veramente di diritti fondamentali. E’ il diritto alla certezza del contratto di lavoro. L’articolo 18 sancisce che io non possa recidere un contratto contro la volontà dell’altr ...[continua]

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