Bocca di Magra, 29 agosto 1967
Mushka carissima,
la lettera che aspettavo oggi è venuta ieri, con la "pensée sauvage” e il rametto di lavanda (non mi sbaglio?) - e con tutta la tua grazia e, direi, sconvolgente dolcezza.
Ma certo, è un’ottima idea, quella di pubblicare un tuo "erbario” - o "Libro delle Erbe Gentili”? Lavorarci con la massima semplicità - cominciando in ordine alfabetico ("Artemisia”?) e riportando in breve gli antichi pareri - ma seguiti dalle tue osservazioni – nelle quali potrai lasciarti andare (ma non troppo per non togliere al libro il suo carattere "obbiettivo” di "raccolta”) alle tue intuizioni. Ma forse una qualche ricerca (con l’aiuto di un buon "farmacista”?) sull’uso che si fa oggi delle medesime erbe per la fabbricazione di medicamenti sarebbe utile: darebbe una specie di "conclusione” - e forse anche suggerirebbe in che senso la "scienza” moderna segua (per quanto riguarda le virtù delle erbe) l’antica tradizione e in qual senso invece l’abbandoni, la dimentichi o forse anche le faccia violenza. Ma si dovrebbe trattare di semplici accenni, intendiamoci. Così come lo immagino io, questo libro, il suo valore dovrebbe essere di suggestione quasi poetica - un "rammentare” la natura a chi l’ha dimenticata. Buon lavoro Mushka.
Non voglio poi dimenticare di dirti che già da ora aspetto la visita dei tuoi amici Richter a Roma. Dà loro anche il mio numero di telefono: 859.195. Quindi, eccomi a Platone. Tu che hai capito subito così bene l’importanza della "forma” che Platone dà al suo discorso - il "dialogo”, come segno che 1°) si tratta di "discorso” non di insegnamento imperioso - c’è il discorso dell’uomo che riflette, cioè, e c’è il mondo infinitamente enigmatico - e nessun discorso scioglie l’enigma, anzi forse vero e supremo scopo del discorso è di fare risaltare sempre più chiaro e direi "luminoso” l’enigma di un mondo sostanziato di luce e d’oscurità al tempo stesso, nel quale pensiero e essere sono certamente la stessa cosa (altrimenti il pensiero sarebbe vano - sospeso nel vuoto) ma tra pensiero e reale - intelligenza e natura c’è un abisso, una "separazione” (χωρισμός) che nessun discorso può sanare.
Questo è il primo punto, mi pare, da tenere a mente quando si legge Platone. E tu l’hai capito molto bene. Il 2°) è che qualunque teoria o "utopia” si esponga e difenda è sempre e soltanto una "proposta”. In particolare, per quanto riguarda la "Repubblica” l’errore da non commettere è di considerarla una specie di "blueprint” per la costruzione di uno Stato perfetto da parte di un principe illuminato o di un "partito” di filosofi (o pretesi tali). La "Repubblica” (come è detto all’inizio) è semplicemente un tentativo coerente (senza coerenza il discorso diventa privo di senso - ma coerenza significa rigore, lineamento preciso - come nel disegno di un edificio, che non significa nulla se non è tracciato con precisione e rigore di proporzioni. Il paragone con l’architettura è forse il migliore. Ma il filosofo è un architetto di idee - e le idee hanno senso in quanto sono accolte con esame -criticate- nel senso originario di esaminate con discernimento e non accettate come pezzi di macchine da montare). Il tentativo di discorso coerente della Repubblica è quello di rispondere alla domanda sulla giustizia rivolta in principio da Socrate a Cefalo e poi complicata nella discussione con Trasimaco, finché Socrate si trova obbligato moralmente a "immaginare” e descrivere una città ideale.
Ora questa "città ideale” è talmente una "proposta” che la sua prima e perfetta (o quasi perfetta) forma è -ricordalo- la comunità rustica, povera, di uomini contenti di una vita semplicissima. Ma -dice Socrate- se vogliamo una vita più ricca e complessa, allora... eccovene l’"immagine”. Interviene, in quest’immagine, già l’elemento di costrizione severa che diventerà ancora più duro nelle "Leggi”. Ci sono molti particolari "duri” e difficilmente accettabili, nell’utopia platonica, oltre quello della comunità delle donne. Ma credo che bisogna sempre ricordare che si tratta di un’ipotesi. "Se volete una città perfetta...” essendo inteso che fatalmente la "perfezione” se applicata a un’impresa come la convivenza umana, comporta necessariamente un rigore reale e non poca spietatezza. Tuttavia, il punto cruciale è che, secondo il modo di vedere platonico, si tratta pur sempre di un "modello” ideale -da considerare, tenere a mente, discutere- ma non mai imporre con la forza.
Insomma, se vuoi (e il paragone mi sembra inevitabile, anche perché c’è (quasi) certamente filiazione) la "Repubblica” è un po’ come una "Regola” monastica -lasciata alla libera accettazione dell’individuo e non suggerisce, in fondo, che il tentativo (o i tentativi) di "imitarla” in pratica- realizzando degli "esempi” o "tipi” o "modelli” di convivenza nella giustizia.
Quanto alla comunità delle donne, all’abolizione della famiglia, la questione, credo, è se sì o no, il principio della vita in comune -di una giustizia rigorosa- debba o no prevalere sulle tendenze "naturali”. D’altra parte, l’idea di una società in cui i giovani possano guardare a tutti gli uomini maturi come a loro possibili padri e a tutte le donne a loro possibili madri è abbastanza "bella” - non trovi?
Dopo tanto Platone, sì, qualche ora di musica in un ambiente bello, ci vorrebbe. Per ora andiamo nel giardino, dove ci sarà stormire di fronde e brusio d’acqua.
Ti abbraccio.
Nicola
Lettera di Chiaromonte a Melanie von Nagel, 29 agosto 1967
l'altra tradizione

Una Città n° 208 / 2013 Dicembre
Articolo di reprint di Nicola Chiaromonte
Lettera di Nicola Chiaromonte a Melanie von Nagel. Da Bocca di Magra, 29 agosto 1967
Una lettera di Nicola Chiaromonte a Melanie von Nagel ("Mushka"), estratta da "Fra me e te la verità" (2013), volume che raccoglie 103 lettere scelte tra le moltissime inviate da Chiaromonte all'amica suora. Il volume è edito da Una città.
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