Certo c’è un rapporto tra demografia e migrazioni, ma non si tratta di un rapporto semplice. Il mondo non è un insieme di vasi comunicanti in cui il liquido passa dai vasi dove il livello è più alto a quelli dove è più basso. La pace e la guerra, la ricchezza e la povertà, le possibilità di trovare un lavoro, le competenze, le distanze, le leggi, le persecuzioni, la composizione delle popolazioni per classi sociali ed età, la storia, le catene migratorie, le culture: tutto influisce sulla volontà e la possibilità di emigrare e sul dove emigrare. Non è una novità che la maggior parte dei migranti, per ragioni economiche o per salvare la vita, si muova tra territori contigui. La maggior parte dei migranti in Africa, che è un importante paese di provenienza, si muove all’interno dell’Africa e di specifiche aree economicamente e culturalmente contigue: l’Africa occidentale, cosiddetta francofona; l’Africa meridionale; l’Africa orientale. Per scappare dal Rwanda durante un genocidio i sopravvissuti cercavano di andare in Congo. Durante la guerra civile in Libia i profughi passavano in Egitto e in Tunisia; solo pochi cercavano di passare il mare -o venivano costretti a farlo. Durante la guerra civile in Siria, oggi, i profughi sono in Turchia, in Libano, in Giordania, nel Kurdistan iracheno. Ottant’anni fa, durante la strage per fame dei contadini ucraini e dei nomadi kazachi, i profughi cercavano di raggiungere i distretti confinanti, all’interno dell’Unione sovietica o in Cina, spesso altrettanto affamati. Durante la strage degli armeni i profughi sconfinavano dove potevano; solo qualcuno, come Elia Kazan, riusciva a infilarsi in una nave e a passare l’Oceano -e da grande girava America, America!
Nondimeno le grandi differenze di natalità e mortalità, in generale o all’interno della stessa area; le diminuzioni tendenziali di popolazione all’interno di paesi ricchi, come, in varia misura in Europa, occidentale e orientale, oggi; il forte aumento di popolazione all’interno di paesi poveri, come in Africa o in Asia centrale, sono un segnale certo di rottura di un equilibrio, una premessa di migrazioni -o di conflitti. Questi segnali esistono da tempo; e si stanno accentuando. L’importanza della migrazione in Europa e negli Stati Uniti è diventata così forte da indurre alcuni studiosi, come David Coleman, a proporre il concetto (non so se opportuno o necessario) di terza transizione demografica. Dopo la prima (diminuzione congiunta della mortalità e della fecondità, avvenuta in epoche diverse, in molti paesi) e la seconda (ripresa, nei paesi ricchi, della fecondità delle donne istruite) (www.spsw.ox.ac.uk/fileadmin/documents/pdf/WP33_Third_Demographic_Transition.pdf), la terza transizione si verificherebbe quando i migranti diventano, nel paese di arrivo, una minoranza molto importante, tendenzialmente una maggioranza, da cui dipende la stabilità, o l’aumento, della popolazione.
Che si tratti di fatti importanti, che riguardano gli Stati uniti, l’Europa occidentale, i paradisi fiscali, gli Stati petroliferi, è evidente. Che li si possa misurare in modo confrontabile, inquadrare unitariamente come nell’articolo citato, mi sembra dubbio.
Cito alcuni esempi illuminanti. Nei paesi petroliferi del Golfo persico, praticamente tutti hydrocarbon societies, società la cui ricchezza deriva per più del 90% dagli idrocarburi e perciò appartiene interamente al gruppo dominante, gli immigrati, che fanno tutti i lavori, inclusa la guerra e non sono e non possono diventare cittadini, sono la maggioranza, in qualche caso la grande maggioranza della popolazione. Negli Emirati Arabi Uniti sono più dell’80%. Sono meno della metà solo nell’Oman e nello Yemen. In Europa occidentale gli immigrati sono poco sotto il 10% ma hanno, almeno all’arrivo, una fecondità maggiore dei vecchi residenti e, tendenzialmente, in varie ipotesi di crescita, diventeranno la maggioranza. Negli Stati uniti è noto che da tempo i wasp, white anglo saxon protestant, non sono più l’unico gruppo dominante. Ma negli Stati Uniti vige lo ius soli in senso stretto; cioè basta essere fisicamente nati sul suolo americano per essere cittadini ed avere, con le difficoltà note, il diritto di voto e poter diventare Presidente, cosa impossibile per i naturalizzati. In Francia l’accesso alla cittadinanza per i nati sul suolo della Repubblica è relativamente garantito alla maggiore età e l’accesso alla cittadinanza, e al voto, più facile e garantito che negl ...[continua]

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