A Rosarno avrei dovuto incontrare Jean, un giovane immigrato dal Burkina Faso che abita e lavora a Caserta e che era venuto qui per qualche settimana a raccogliere arance. Quando sono arrivato, Jean era già stato trasferito a Crotone, in un centro di prima accoglienza. Nel piccolo paese che sembrava abbandonato restavano solo alcuni immigrati marocchini o rumeni, che continuavano la loro vita normalmente. La pelle più chiara li proteggeva da qualsiasi rischio di rappresaglia. I rosarnesi, invece, si erano radunati nell’incrocio che separa Gioia Tauro da Rosarno, a qualche centinaio di metri dalla fabbrica occupata dai migranti africani, tra le macchine bruciate e i copertoni sciolti sulla strada. Stavano lì per assicurarsi che se ne andassero o, più probabilmente, per partecipare al grande evento mediatico che si stava realizzando sotto i loro occhi. Non capita tutti i giorni di essere al centro d’Italia: giornalisti e telecamere di ogni testata, da Porta a Porta a La7, alla ricerca degli umori della gente, in attesa della frase che riassumesse in maniera esemplare la loro rabbia. Se la frase da prima pagina non arrivava, cercavano di tirarla fuori, la suggerivano con domande adatte del tipo "quindi via questi neri, vero?” o ancora "Bossi ha ragione, giusto?”.
Poco importa che la gente aggirasse le domande e tentasse di parlare dei problemi quotidiani. Vincenzo, ad esempio, che si presenta come il più grande "fans” di Mino Reitano e che porta sempre con sé le foto che ha scattato davanti alla sua tomba, prova a far capire alla giornalista -senza successo- che "è giusto accogliere umanamente tutti, perché siamo tutti umani, non è che siamo razzisti. Io mi ricordo venti anni fa, quando andavamo a Milano, e c’erano i cartelli ‘Affittasi appartamento, meno che ai meridionali’. La stessa cosa sta succedendo qua, ma qua non c’è lavoro, un giovane è inutile che va a studiare, perché non c’è lavoro, non c’è niente”. "Quindi via questi neri, giusto?” suggerisce la giornalista. "Sì, via, via, non c’è lavoro per noi, figuriamoci per i neri”.
In realtà un poco di lavoro c’è -tra ottobre e marzo, precisamente- ed è governato dalle micrologiche tipiche dei mercati senza controllo, che si trovano ad affrontare, da sole -o con intermediari di tipo mafioso- le macrologiche del mercato globalizzato.
"Lo sa perché questa gente ha protestato? Non perché sono stati feriti da qualche disadattato. Ma perché da due mesi non hanno lavoro. E lo sa perché non hanno lavoro? Non perché qualche mafioso di turno non li vuole fare lavorare, ma perché questo tipo di manodopera è stata soppiantata da una manodopera proveniente dall’Est. Venendo dall’Europa, queste persone si sono integrate meglio nel tessuto sociale rosarnese. Queste sono le ragioni! Non è che non lavorano perché qualcuno non li vuole fare lavorare. Poi si dice che sono sfruttati perché prendono 25 euro al giorno… è ovvio che se li si rapporta alla realtà economica milanese sono pochi, ma se li si rapporta alla nostra realtà sono 750 euro al mese, è di più del reddito medio che percepisce un cittadino rosarnese. E’ anche vero che questi immigrati vivevano in una situazione di illegalità, perché magari non erano dichiarati e non avevano i contributi. Ma vede, qua non c’è il latifondo, si parla di una proprietà molto frammentata, si parla di sei mila, sette mila metri per ogni piccolo proprietario. Se un imprenditore prende dieci centesimi per un chilo di arance, come può mettere in regola qualcuno? E questo non perché c’è la mafia dietro, ma perché sono effetti dell’economia delocalizzata. Una volta, la piana di Gioia Tauro esportava nei mercati del Nord e soddisfaceva da sola tutta la domanda. Oggi, in quei mercati ci arrivano i prodotti del Marocco, della Grecia, del Portogallo, della Spagna. Di fronte ad una precarietà assoluta, come si può pensare che l’imprenditore abbia i requisiti economici per soddisfare le esigenze legittime di regolarizzazione degli immigrati?”. A parlare, ci tiene a sottolinearlo, è l’ex presidente del Consiglio Comunale decaduto per infiltrazione mafiosa: "Io penso che sta passando un messaggio fuorviante, il fatto di associare necessariamente quello che è successo, che è drammatico sia per gli immigrati che per i cittadini, con questioni di natura mafiosa che non c’entrano nulla. I cittadini e gli immigrati sono vittime di un sistema che non funziona, sono vittime di uno Stato che non c’è”. Uno di questi piccoli imprenditori mi ...[continua]

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