Caro Direttore, due paroline sul dibattito -interessante- fra Paolo Dusi e alcuni suoi attenti lettori, a partire dalle precisazioni esposte in A proposito di “valori contro diritti” (sul numero 157 della tua, della nostra rivista).
Una (rapida) premessa: in Italia, se uno si batte per la laicità contro l’invadenza cattolica, trova consensi e appoggi solo se è ateo o, per lo meno, acristiano. Si sottovaluta, a mio avviso imprudentemente, il ruolo di quei credenti nel vangelo di Gesù (cattolici, protestanti o altrimenti definibili nel variegato arcipelago cristiano) che difendono la laicità non (solo) per motivi filosofici ‘esterni’ al mondo della fede ma (anche) per motivi teologici ‘interni’.
Paolo Dusi (ed entro così in media res) espone, con lucidità, una “concatenazione dogmatica” (“C’è un Dio creatore; la vita è un suo dono; è un atto d’amore; a differenza di tutti gli altri doni, questo non può che essere accettato e non può essere ‘restituito’; se esso si risolve in sofferenza, ciò è in vista di una ricompensa...”) dalla quale sembrerebbe ovvio che un credente debba trarre, come conclusione logica, il rifiuto dell’eutanasia, del testamento biologico e forse anche delle cure palliative. Che il meccanismo mentale funzioni così, nel 90% dei casi, è indubbio. Ma -è la questione che pongo- non c’è un 10% di cristiani che la pensano, non solo privatamente ma pubblicamente, diversamente? E, soprattutto, non portano queste minoranze pensanti degli argomenti validi per ritenere che gli pseudo-ragionamenti delle maggioranze obbedienti alle direttive papali siano biblicamente infondati e teologicamente fallaci?
No, non ti allarmare: non passerò, come sarebbe nei miei desideri viscerali, a ripercorrere i contro-argomenti di questi studiosi (come mi è capitato, sia pur sinteticamente, sul numero 2008/2 de “La rivista italiana di cure palliative”). Mi limito a qualche riferimento random per il lettore curioso. Ad una tavola rotonda di tre anni fa su questi temi, Sandro Spinsanti (uno dei pionieri della bioetica in Italia, di solida formazione cattolica) ebbe modo di mostrare (come fa in tutta la sua nutrita produzione) la necessità di affrontare le tematiche di fine vita dal punto di vista dei diritti del malato e non più di parametri morali stabiliti ex cathedra da istanze esterne ed estranee (chiese, università, Stati etc.). L’anno successivo, in una situazione analoga, don Cosimo Scordato -docente presso la Facoltà teologica di Sicilia a Palermo- ebbe modo di rilevare che Dio ci dona la vita biologica inseparabilmente dalla razionalità per gestirla affinché essa sia coltivata solo sino a quando risulta un dono e non un castigo immeritato. Accenti non dissimili ho ascoltato dal pastore valdese Paolo Ricca nella sua relazione, quest’anno, ad una giornata di studi sull’argomento svoltasi su iniziativa dell’Università di Palermo: orientate nella stessa direzione, per altro, erano le pagine che egli aveva dedicato al tema nel breve ed intenso Il cristiano di fronte alla morte della Claudiana di Torino. Intanto, nel 2004, le edizioni Avverbi di Roma hanno tradotto in italiano il libro, originariamente pubblicato in francese dalle Editions de Seuil, La morte opportuna. I diritti dei viventi sulla fine della loro vita. L’autore, Jacques Pohier, è stato uno dei teologi di punta dell’Ordine Domenicano dal 1949 al 1989 e, condannato dal Vaticano, continua tutt’oggi una militanza intellettuale ed operativa all’interno della Federazione mondiale delle Associazioni per il diritto a una morte vittoriosa. Nel volume, zeppo di episodi autobiografici persino un po’ perturbanti, Pohier demistifica molte idiozie (spiegando, ad esempio, che l’eutanasia non è una scelta fra la morte e la vita ma fra due modi di morire) e, forte della sua competenza biblico-teologica, chiarisce la differenza fra dire che Dio ha a cuore la vita (genericamente, anonimamente) e dire che Egli ha a cuore i viventi (uno per uno, col suo carico di energie e di sofferenze). Potrei citare decine e decine di altri interventi di cristiani -cattolici o di altre confessioni- che ritengono blasfemo attribuire a un Dio amorevole la volontà di inchiodare i suoi figli a situazioni in cui la qualità della vita è ormai ridotta a livelli vicini allo zero, ma mi limito a citare Giovanni Franzoni, già abate del Monastero benedettino di San Paolo fuori le mura: le Edizioni dell’Università Popolare di Roma hanno pubblicato nel 2005 il suo prezioso Eutanasia. P ...[continua]

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