Nel contesto in cui viviamo, il benessere viene dato per scontato, nel senso che viene automaticamente fatto corrispondere ad alcuni comportamenti e standard di vita, a determinate condizioni materiali e psicologiche, persino spirituali. L’ovvietà con cui ci si riferisce al benessere, non comporta solo una perdita di significato del termine, ma finisce anche per autorizzare le persone a non riflettere su quello che stanno “ cercando”.
La gente insegue in maniera idealistica il miraggio della salute, arrivando a considerarla una meta a se stante. La salute, cioè il buono stato dell’organismo e la buona relazione della persona con il proprio corpo, dovrebbe essere funzionale alla vita, servire per vivere meglio, quindi dovrebbe essere uno strumento, non un fine.
Oggi la salute è invece un fine in sé, è diventata la normalità ideale, cui si contrappone la diversità della malattia. Ogni altra diversità scompare nell’occidente di fronte allo status culturale della malattia come diversità radicale. Tutti siamo incamminati in fila nella speranza di possedere questo bene prezioso, che non sappiamo neanche definire, ma sul quale gli esperti non ci risparmiano tutti i giorni informazioni dettagliate, che sembrano anche torture e punizioni, nonché continue raccomandazioni ed allarmi.
Il benessere, al contrario, va rimesso in discussione ed in ogni caso usato a giuste dosi, come un “farmaco”, da assumere in maniera adeguata alla coscienza della persona ed ai suoi bisogni.
E’ importante discuterne in privato ed anche in pubblico, benché oggi di pubblico non ci sia quasi nulla (pubblico nel senso di res publica, di comunità), perché sono rare le esperienze veramente sociali . Anche chi va a sentire conferenze su temi culturali, ha già in mente uno schema e non va per ricevere stimoli o riflessioni per “ cambiare” il modo di pensare, bensì per avere conferme su quello che sa già o descrizioni particolareggiate degli esperti del settore.
Io non mi pongo come esperto del settore, non già perché non possa averne le competenze, ma perché anche questo è uno degli elementi sul quale cominciare o continuare a ragionare, in quanto non si può delegare la capacità di riflettere in prima persona.
Molta della scienza propagandata attualmente è pseudoscienza, anzi è di fatto una forma di religione. La maggior parte degli occidentali guarda alla scienza, quella divulgata dai mass media e dalla televisione, come ad una entità divina. Di fatto una notevole quantità di persone ha ritirato la proiezione di onnipotenza in precedenza operata su Dio e l’ha reinvestita per lo più su idoli scientifici. Oggi quasi tutti si considerano dei e venerano altre divinità, che mediano per loro la conquista dell’onnipotenza, della perfezione, dell’assoluto, della bellezza e della giovinezza eterne. Questo è esattamente il contrario di un atteggiamento scientifico, di come in particolare nel secolo scorso si è delineata la possibilità di pensare la scienza. E’ implicita una struttura fideistica nel rapporto attuale con la scienza ed è ovvio allora che vengano poste alla scienza determinate domande, e che le risposte non siano di tipo scientifico, ma puntino all’emozionalità e alla soddisfazione dei sogni che da sempre accompagnano l’umanità.
Non c’è quasi niente di nuovo sotto il sole perché, come ha scritto Borges “tutto accade per la prima volta ma in modo eterno”; si riproducono di continuo quelli che sono i tratti universali dell’umanità e delle sue aspirazioni.
Quello che c’è di nuovo è che noi viviamo in una società di massa, cosa che la gente continua a dimenticare, anche grazie al fatto che la società stessa dissimula la massificazione con l’individualismo.
Noi siamo una società di massa e questo comporta gravi problemi di organizzazione e spiega le molte ipotesi catastrofiche riguardo al futuro, non solo per l’ambiente naturale, ma pure dal punto di vista della cultura e della degradazione antropologica. Non c’è dubbio che il progresso mascheri forme di svilimento della realtà umana e che dietro il raggiungimento di grandi obiettivi e conquiste di fatto si nasconda il decadimento di alcune forme di pensiero e di creatività a livello culturale. Ogni epoca è “oscura” quando si coltiva un atteggiamento critico, il che non va interpretato come pessimismo ma come realismo, cioè capacità di rendersi conto dei tratti distintivi di negatività, oltre che di positività e di bontà delle aspirazioni dell’essere umano.
Quindi bisognerebbe ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!