Quello che a tutta prima può apparire come un problema di natura prettamente medica o tecnica, e cioè le conseguenze, in termini epidemiologici, dell’utilizzo di un materiale inquinante in determinati processi lavorativi, è in realtà un problema che investe ambiti molto diversi, categorie che appartengono allo specifico giuridico, politico ed anche, in senso lato, alla sfera filosofica e morale.
Uno dei più importanti campi di utilizzo dell’amianto, già a partire dall’inizio del secolo scorso, è proprio quello delle costruzioni navali per le caratteristiche di fonoassorbenza e termodispersione di questo materiale. Come è noto, tuttavia, l’amianto è stato utilizzato in più di tremila prodotti diversi, tra cui i materiali da costruzione. Famoso è l’Eternit, prodotto in quantità enormi fino a pochi anni fa. L’inalazione di fibre d’amianto è causa di patologie ben conosciute quali l’asbestosi, il carcinoma polmonare e il mesotelioma della pleura. Quest’ultimo, in particolare, è considerato un “evento sentinella” dell’esposizione all’amianto. In termini medici si tratta di una lesione patognomonica. Questo tumore, considerato molto raro ( un caso annuo per milione di abitanti in assenza di amianto), ha prodotto a Monfalcone, in circa vent’anni, oltre cinquecento morti, in larghissima maggioranza operai o ex operai dei cantieri navali. Il tempo di latenza medio di questo tumore è di circa cinquant’anni, per cui noi adesso stiamo pagando le esposizioni, molto intense, degli anni ’50 e ’60 e si può prevedere che almeno fino al 2030 avremo a Monfalcone un numero molto elevato di casi di mesotelioma.
Un argomento di estremo interesse è rappresentato dalla storia delle conoscenze scientifiche in relazione alle patologie da amianto. Gli studi storici sull’argomento ci dicono che già a partire dalla fine dell’‘800 venne posta per la prima volta in relazione una fibrosi polmonare con l’inalazione di polvere di asbesto in un lavoratore esposto. Nel 1918 e nel 1924 vi furono studi che evidenziarono alterazioni radiologiche del torace in lavoratori dell’amianto. Nel 1935 il mesotelioma della pleura venne riscontrato in lavoratori esposti all’amianto. Negli anni ’50 e ’60 si raggiunse una sostanziale certezza delle proprietà patogenetiche del minerale; nel 1965 la comunità scientifica internazionale suggellò definitivamente l’esistenza di effetti cancerogenetici dell’amianto ed emise una serie di raccomandazioni volte a limitare e, possibilmente, ad eliminare il suo utilizzo.
Vi è stata, dunque, quantomeno a partire dagli anni ’60, una presa di posizione ufficiale della comunità scientifica sulla base di una serie di inconfutabili studi ed indagini epidemiologiche. E’ curioso che a fronte di questi risultati, ormai ampiamente conosciuti a livello internazionale, gli anni ’60 e ’70 siano stati proprio quelli di maggior utilizzo dell’amianto ai cantieri navali di Monfalcone.
Uno spazio importante nell’economia generale della ricerca è occupato dall’analisi dell’evoluzione legislativa italiana sull’amianto. Gli aspetti legislativi sono molto importanti per comprendere la storia dell’utilizzo dell’amianto nel nostro Paese, in quanto dalla loro evoluzione si possono evincere significativi elementi sul livello di diffusione delle conoscenze scientifiche, sui contrasti e travagli che hanno portato negli anni a modificare il quadro normativo, sulle resistenze e pressioni esercitate nei confronti del legislatore dalle potenti lobbies italiane ed internazionali legate all’industria amiantifera che tuttora, nonostante la grande svolta costituita dalla legge 257/92, continuano a far sentire il loro peso. I punti di riferimento legislativi fondamentali sono costituiti dal Dpr 303 del 1956, dal T.U. 1124 del 1965 e naturalmente dalla legge 257 del 1992, “Norme relative alla cessazione dell’uso dell’amianto”, che costituisce, per la sua valenza rigidamente definitoria, una sorta di spartiacque legislativo di portata storica.
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