L’intervista che segue è stata realizzata da Alexis Lacroix per Le Figaro. Ringraziamo André Glucksmann e Le Figaro per averci dato la possibilità di pubblicarla. Di André Glucksmann ricordiamo l’ultimo libro, non ancora tradotto in italiano: La Troisième mort de Dieu (Nil).
Gli attacchi terroristici di martedì sembra abbiano stupito la maggior parte dei commentatori. Non lei?
Mi stupisco che ci si stupisca. La sola cosa imprevedibile era la riuscita così completa di un crimine programmato. L’obiettivo era prevedibile (le Twin Towers erano già state attaccate), il mezzo era prevedibile (l’aereo suicida succede al camion impazzito), la procedura è ripetitiva (la Francia si ricorda dell’Airbus che doveva colpire la tour Eiffel). La volontà deliberata di organizzare una strage degli innocenti non ha nulla d’inedito. Film catastrofici e opere di fiction hanno immaginato per tutta la lunghezza della pellicola e per pagine e pagine l’avvenimento che ci si ostina ingenuamente a battezzare come inimmaginabile, miracoloso, ecc.
Bisogna pensare l’orrore dell’11 settembre all’interno della lunga durata secolare della guerra moderna. L’attacco contro i civili è una tendenza di fondo (l’80% dei morti della Prima Guerra mondiale sono soldati, il 50% nella Seconda, e dal 1945, il 90% delle vittime di conflitti armati sono civili, sono bambini, donne e uomini disarmati). Parallelamente, la demolizione di obiettivi simbolici, in altri tempi eccezionale (la cattedrale di Reims nel 1914), è diventata la regola (l’esercito di Milosevic, sin dal 1991, prendeva di mira le tre croci: ospedali, chiese, cimiteri). Ci ricordiamo della biblioteca di Sarajevo incendiata a cannonate e dei Buddha distrutti con la dinamite… E’ tutta la porcheria del XX° secolo che piomba su Manhattan per inaugurare il XXI°.
Bisogna sottotitolare la Cnn con Dostoevskij. Un piccolo gruppo di studenti terroristi mette a ferro e fuoco il capoluogo di una provincia della Russia zarista. Il loro piacere di nuocere, il loro gioire del male arrecato ad altri (Schadenfreude in tedesco), il loro gusto della distruzione per la distruzione -direi il loro nichilismo- sono diventati planetari. La caduta del World Trade Center suggella l’assunzione a livello mondiale della sindrome di Erostrato, dal nome di quell’oscuro greco che volle, sull’esempio dei conquistatori, rendersi immortale con una distruzione memorabile. Incendiò il tempio di Diana ad Efeso, una delle sette meraviglie del mondo (356 a. C.). La gioia folle di schiantarsi sul “tempio del capitalismo” (o il cuore dell’imperialismo”, o la culla del “grande Satana”) non ha niente di imprevedibile: rischia, temo, di creare sia emulatori che indignati.
Si può affermare che i paesi occidentali hanno trascurato da 10 anni a questa parte l’imperativo della dissuasione?
Dissuadere è il contrario di persuadere: non convincere a fare, bensì non far fare, trattenere. Quando si parla di dissuasione, bisogna essere precisi e chiedersi con Raymond Aron “chi può dissuadere chi, da cosa, in quali circostanze, con quali minacce?”. Non si dissuade dall’utilizzare un kalashnikov o tre coltellini con l’arma atomica: lo “scudo” antimissile, anche se esistesse, non impedirebbe al terrorismo di passarvi “sotto” in qualche modo.
La bomba atomica non impedisce le guerre selvagge…
La dissuasione nucleare, fondata sulla minaccia dell’annientamento reciproco, non ha mai bloccato l’insieme delle violenze possibili: pensiamo all’esperienza del Vietnam. Dopo la guerra fredda, gli strateghi si sono preoccupati degli “Stati canaglia” (Corea del Nord, Irak) suscettibili di trasgredire le proibizioni dissuasive. Significava scoprire il nichilismo universale facendo di una mosca un elefante. La guerra delle canaglie, che celebra la sua apoteosi l’11 settembre, ha da tempo oltrepassato l’ambito degli Stati, il che permette, d’altronde, agli Stati in malafede di farla senza troppi rischi: la Libia ha sostenuto gli islamisti che hanno preso ostaggi nelle Filippine... per poi recitare, in un secondo tempo, la parte del benevolo mediatore!
Da quanto tempo il caos è lo sfondo segreto dell’ordine internazionale?
Un tale primato della possibilità di caos era visibile, sebbene non pensato, molto prima della caduta delle Twin Towers. Quando Monsieur Védrine (l’attuale ministro degli Esteri francese, n.d.t.) battezza gli Stati Uniti col nome di “iper-potenza”, rimane inchiodato alla vecchia nozione, molto ottocentesca, della forza “sovrana” degli Stati, che coniuga potere (militare) di distruggere e potere (economico, sociale, culturale) di costruire. In realtà, la capacità di nuocere è, insieme, più decisiva e più distanziata: il potere di disfare si mondializza più in fretta del potere di fare.
Non occorreva essere un grande specialista per constatare che l’iper-potenza è allo stesso tempo iper-impotenza. Si ricorda lo sbandamento americano in Somalia, davanti ad un bullo di quartiere (il “generale” Aidid)?
Questo primato della distruzione nei rapporti internazionali rivela anche una tendenza di fondo che lavora nei tempi lunghi: fin dal 1925, Churchill notava come “le energie di interi popoli” si concentravano “sul solo atto di distruggere” facendo nascere “il sentimento di una possibile estinzione della razza umana”. Era molto prima dell’arrivo dell’arma nucleare, che è solo un mezzo, fra tanti altri, di questa “estinzione”. Il problema è di dissuadere un’azione distruttiva nichilista che produce devastazione a Manhattan come in Ruanda ricorrendo a mezzi tutto sommato artigianali.
A quale (non-) pensiero della guerra rimanda l’impreparazione dell’Occidente? Il fantasma della guerra a zero morti va messo in questione?
Chi trascorre giorni tranquilli, se non felici, vive nel non-pensiero della guerra: ciascuno si costruisce un “loft” mentale impedendo a se stesso di evocare le minacce che incombono: la sciagura, è lontana, la malattia è per gli altri. L’Europeo come l’Americano sembrano usciti dalla scena cechoviana del Giardino dei ciliegi: si parla, ci si ama, ci si detesta l’un l’altro, si “fa salotto”, mentre fuori risuonano le armi. Ho criticato da un decennio le teorie della guerra a zero morti e della fine della storia che imperversano anche nella Comunità europea.
Avevo invocato, all’uscita dalla guerra fredda, un 11° comandamento: mai chiudere gli occhi davanti alla disumanità violenta del secolo. Essa colpisce, indistintamente, a New York come a Kigali.
Gli americani esortano George W. Bush a mettere in atto forti rappresaglie…
Le due cose sono complementari, bisogna colpire forte e mirare giusto. Dopo Pearl Harbor, gli americani l’hanno fatto. Il 94% di loro sembra oggi voler ritrovare l’energia, il coraggio e la tenacia di un tempo. Se si accerta che Bin Laden è colpevole, deve pagare caro il suo crimine. E con lui il totalitarismo islamista, questo fascismo verde che non è Islam, ma dal quale occorre che finalmente l’Islam prenda le distanze e si allontani. Il primo “riarmo morale” che si impone è quello dei musulmani: dovranno mobilitarsi contro gli assassini mondiali che si richiamano a loro. Dopo tutto, le prime vittime degli islamisti sono le donne e i bambini musulmani, in Afghanistan come in Algeria.
Cosa comporta l’urgenza di riarmarsi spiritualmente?
Il “riarmo spirituale” che si esige comporta per noi una conversione di lunga durata. Non ci si deve immaginare che una volta eliminato il colpevole, il problema sparisca. La vulnerabilità rimane. La sindrome di Erostrato rimane. I folli di Dio non sono i soli a sognare di colpire al cuore una civiltà detestata. Il gusto di demolire, di “fare un gran macello”, di radere al suolo una città, un paese, ecc., anche a costo della propria vita, esiste anche in chi non crede al Cielo. Far coincidere la propria fine e la fine di un mondo, se non addirittura del mondo, è l’estasi, una sorta di paradiso sulla Terra, lo “sparo, dunque sono” di un banale nichilista.
“Una volta abbattuti i limiti del possibile, che esistevano per così dire solo nel nostro inconscio, è difficile risollevarli…”. Questo è l’assioma che Clausewitz opponeva a tutti i capi di stato europei, i quali credevano che, morto Napoleone, la sua invenzione, la battaglia di annientamento, scomparisse con lui. Clausewitz aveva ragione: dopo Metternich e il Congresso di Vienna l’ “orco della Corsica” non risuscitò, ma le guerre mondiali sono state più annientatrici delle sue. Dopo Bin Laden, chi? Islamisti o no, piccoli capi nichilisti si accalcano alla porta. Un simile “successo” fa nascere delle vocazioni. E i bricolage ultra-devastanti non sembrano affatto fuori portata.
La risonanza considerevole degli attacchi dell’11 settembre non dipende dal fatto che questi rivelano all’Occidente la necessità di difendere certi valori che incarna?
Attenzione a non cadere una volta di più in errore sui cosiddetti valori! Si impone una riflessione sugli errori d’un tempo. Due dottor Frankenstein hanno reso possibile il mostruoso Bin Laden. Prima di tutto, la Russia sovietica: se non avesse invaso l’Afghanistan, allora in pace, se non avesse distrutto la società tradizionale e devastato il paese, gli estremisti non avrebbero avuto l’occasione d’installarsi sulle sue rovine. I Russi non hanno imparato niente: hanno saccheggiato e martirizzato la popolazione cecena, vogliono la pelle del presidente laico eletto Maskhadov -e a vantaggio di chi, se non della cintura verde fondamentalista che stringe l’ex-Unione Sovietica?
Secondo apprendista stregone, gli Stati-Uniti, che hanno appoggiato gli islamisti afghani invece dei resistenti moderati come Massud.
Oggi, chi predica l’unione sacra America-Russia-Cina in nome della lotta antiterrorista universale introduce due lupi nel proprio ovile. L’Afghanistan dei talebani, che produce il 75% dell’eroina mondiale, ne spedisce più della metà nell’Europa occidentale attraverso l’antica “via della seta”: questa nuova pista dell’inferno transita attraverso la Russia putiniana, con tutte le complicità che questo traffico gigantesco comporta. Il terrorismo di Stato dell’FSB, successore di un KGB che ha mantenuto la maggior parte dei gruppuscoli terroristi dei cinque continenti, non è più degno di fiducia del nuovo narco-castrismo latino-americano. L’attacco contro New York è un crimine contro l’umanità; Grozny, capitale con 400.000 abitanti ridotta in polvere dall’esercito di Putin, è un crimine contro l’umanità. Come il Ruanda (1994), come Varsavia (1944). O la nostra civiltà intraprende una lotta di lunga durata contro tali stragi, oppure si lascia massacrare.
Dopo l'11 settembre 2001. Intervista ad André Glucksmann
di politica e altro, internazionalismo, discussioni
Una Città n° 98 / 2001 Settembre
Articolo di André Glucksmann
Tradotto da Vanda Fava
IL RIARMO SPIRITUALE
Intervista originariamente pubblicata su Le Figaro.
Archivio
LA TERZA ONDATA
Una Città n° 45 / 1995 Novembre
Realizzata da Marco Bellini
Realizzata da Marco Bellini
André Glucksmann, filosofo francese, ha recentemente pubblicato il libro dal titolo De Gaulle où es-tu?, ed. JCL., Parigi '95.
Perché secondo lei sulla Bosnia non c’è stata in Europa una mobilitazione dell’op...
Leggi di più
I CAPITALISTI DI MARX
Una Città n° 59 / 1997 Maggio
Realizzata da Marco Bellini
Realizzata da Marco Bellini
La vicenda albanese quale significato riveste per l’Europa, sia dal punto di vista politico che da quello culturale?In un certo senso la decisione di inviare un corpo di spedizione in Albania testimonia che l’Europa prova rimorso per quanto accaduto in Ju...
Leggi di più
RINNEGARE IL VIETNAM?
Una Città n° 77 / 1999 Maggio
Realizzata da Marco Bellini
Realizzata da Marco Bellini
André Glucksmann, filosofo, polemista e scrittore, è stato più volte intervistato dal nostro giornale. Intervenuto in Francia e in Italia sulla guerra contro Milosevic, lo abbiamo intervistato per illustrare meglio la sua posizione sulla vicenda del Kosov...
Leggi di più
Ricordiamo André Glucksmann
Una Città n° 225 / 2015 ottobre
André Glucksmann era nato il 19 giugno 1937. Di famiglia ebraica dell’Europa centrale, i suoi genitori si erano rifugiati in Francia all’avvento del nazismo; suo padre era morto all’inizio della guerra, la madre entrò nella Resistenza. Filosofo, militante...
Leggi di più
CON I PATRIOTI ALGERINI
Una Città n° 65 / 1998 Febbraio
In queste pagine presentiamo brani tratti dagli interventi di alcuni partecipanti alla serata "Algérie: le silence tue" (Algeria: il silenzio uccide, ndt), svoltasi nella sala parigina della Mutualité, mercoledì 21 gennaio. Di fronte a una platea di circa...
Leggi di più