David Bidussa
Ambedue questi libri di Gershom Scholem -l’uno che contiene due interviste autobiografiche, l’altro che rappresenta sicuramente una delle sue opere maggiori- sono illustrativi del suo riflettere sulla storia degli ebrei; il secondo, in particolare è sicuramente illustrativo del come, secondo Scholem, tale storia si scrive.
Per spiegare queste affermazioni vorrei partire da un dato generale, dal quale forse si capisce perché Scholem scrive il libro su Sabbetay, come lo scrive, come arriva a scriverlo.
Io credo che il ‘900, almeno nella seconda metà, sia un secolo costellato da dei ‘monumenti storiografici’, non da indagini di storia, e per chiarire cosa intenda con ‘monumenti storiografici’ mi servirò, facendo un confronto a palla di ping pong, della differenza fra la storiografia dell’800 e quella del ‘900.
L’800 è il secolo in cui si scrivono i manuali di storia nazionale, degli storici che scrivono la storia della propria nazione di appartenenza; Hippolyte Taine è uno di questi; se si vuole lo è anche il Manzoni quando scrive il saggio sulla pena di morte; sicuramente lo è Gibbon. I grandi libri di storia, scritti nel XX secolo e che ci siamo trasportati nel XXI, sono invece libri come Il Mediterraneo di Filippo II di Braudel, La formazione della classe operaia in Inghilterra di Thompson, La nazionalizzazione delle masse di Georg Mosse, I caratteri originari della storia rurale francese di Marc Bloch, L’autunno del Medioevo di Huizinga, Maometto e Carlomagno di Henry Pirenne, L’immaginario e il reale di Le Goff, che hanno proposto un’analisi inquieta della storia nazionale. Ma cos’hanno in comune questi libri? Non certamente il tema, ma semplicemente il fatto che hanno obbligato ad azzerare completamente l’immagine che precedentemente avevamo sul tema che essi prendono in esame, così come hanno obbligato a dover ripensare il come si scrive la storia e il come si affronta quel tema storico. Contemporaneamente, questi libri hanno obbligato altri storici a doversi inventare un linguaggio per fare indagini storiche. In qualche modo, quindi, lo scrivere quei libri ha significato la costruzione generativa di un linguaggio storiografico.
Il libro di Gershom Scholem su Sabbetay sta al fianco dei sette che ho appena citato, perché in esso Scholem ha fatto lo stesso tipo di operazione presente in essi: ha inventato un argomento che prima non c’era e ha obbligato a ripensare la storia sociale e culturale del mondo ebraico nella seconda metà del secondo millennio, a partire da meccanismi che non fossero semplicemente la storia sapienziale, ma fossero la storia sociale delle risorgenze culturali all’interno del mondo ebraico. Col libro su Sabbetay, Scholem ha costretto a guardare i testi ‘canonici’ come testi di storia sociale, non più come testi di storia culturale o teologica e, quindi, ha portato in avanti il linguaggio.
Dopodiché, si può anche ritornare ai testi teologici, ma, a quel punto, questi servono esattamente perché sono la storia della sensibilità ebraica e di come essa si costruisce.
Ora cos’è la storia di Sabbetay Sevi? E’ una storia individuale che si consuma in una stagione, in un tempo estremamente breve, tra i primi anni ’60 del 1600 e i primi mesi del 1667. E’ la storia di un signore che ne incontra un altro, che si chiama Natan di Gaza, dentro la riflessione, la costruzione di senso, data dai cabalisti, il quale Natan di Gaza indica Sabbetay come il Messia degli ebrei. Sabbetay Sevi, dopo questo incontro con Natan di Gaza, comincia ad indicare anche il giorno in cui si proclamerà Messia e torna a Smirne, la sua città, per annunciare appunto lì il giorno della sua venuta.
In seguito a tutto questo il sultano -Smirne era allora parte dell’impero ottomano- pone a Sabbetay un aut aut: o convertirsi all’Islam -e quindi far rientrare l’ipotesi di un’insorgenza messianica degli ebrei- o essere considerato responsabile dell’insorgenza stessa e quindi venir punito di conseguenza.
Sabbetay sceglie di convertirsi all’Islam. Da questo momento si potrebbe dire che l’uomo fisico Sabbetay Sevi esce di scena, ma il suo fantasma rimane e con questo nasce il movimento sabbatiano -che per certi aspetti nasce addirittura dopo Sabbetay Sevi- che costituisce il vero oggetto storiografico del libro. Il fatto che, complessivamente, il movimento sabbatiano si formi soprattutto a prescindere dalla vicenda personale di Sabbetay Sevi è il problema storiografico che contorna questo libro. La ...[continua]

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