Una delle opere meno citate, lette e studiate dai sociologi, L’uomo è antiquato di Gunther Anders, è sempre più diventata una delle analisi più sorprendentemente attuali e concrete come descrizione di quanto è accaduto e continuerà ad accadere nell’antropologia dell’intero mondo. Il professionismo specialistico e accademico tende a cancellare Gunther Anders, come ha fatto già con Karl Kraus, Simone Weil, George Orwell, Albert Camus. Per quanto riguarda poi gli autori italiani, non credo che Nicola Chiaromonte sia letto e apprezzato dai politologi; né che nei corsi universitari di sociologia sia presa in considerazione l’ultima saggistica di Pasolini (ammesso che se ne parli in quelli di letteratura contemporanea). Succede così che un’idea rigidamente codificata di ciò che è scienza sociale escluda conoscenze sociali niente affatto trascurabili, anche se metodologicamente discutibili o “scorrette”. Esistono comunque, ogni tanto, dei casi isolati: per esempio, mentre in Italia si liquidava Pasolini come un moralista visionario, estetizzante e viscerale, in Germania un filosofo-sociologo come Jurgen Habermas fece proprie le sue diagnosi.
L’uomo è antiquato di Anders consta di due volumi, il primo uscito in tedesco nel 1956 e in Italia nel 1963 (Il Saggiatore), il secondo in tedesco nel 1980 e in Italia nel 1992 (Bollati Boringhieri). Può essere interessante confrontare i diversi sottotitoli dati da Anders ai due volumi. In quello del 1956 il sottotitolo è “Considerazioni sull’anima nell’epoca della seconda rivoluzione industriale”. Nel volume del 1980 è invece, più radicalmente e concretamente, “Sulla distruzione della vita nell’epoca della terza rivoluzione industriale”. Il tempo passa, lo sviluppo cresce, alla seconda rivoluzione industriale se ne aggiunge una terza e in gioco non è più l’“anima” (termine che può suonare idealistico o spiritualistico) poiché a fine Novecento è in gioco la vita umana stessa nella sua totalità, investita da una vera e propria “distruzione”.
Comunque l’anima di cui si parla negli anni Cinquanta viene intesa come “psiche” umana, già da tempo minata da mutamenti senza precedenti. Anders parlava per esempio di “vergogna prometeica”, nel senso che l’uomo prometeico, l’intelligente, astuto, industrioso Prometeo che è in noi, e che ha donato il fuoco al genere umano per migliorarne la vita, ora crea piuttosto esseri umani colpiti dalla vergogna, perché quando si mettono a confronto con la perfezione dei loro prodotti, delle nuove macchine, si sentono umiliati dalle proprie troppe imperfezioni.
L’odierno Prometeo non sa più chi è: di fronte a meccanismi perfetti è costretto a vergognarsi della propria goffaggine, del proprio essere “carne imperfetta” e inferiore ai prodotti tecnici che ha fabbricato. Anders è un acuto osservatore e nella sua introduzione enuncia i vari aspetti empirici del suo tema generale:

(...) della nostra libera scelta è già stato disposto. Perché è stato già deciso che dobbiamo scegliere, come consumatori, di trasmissioni radiofoniche o televisive: in qualità dunque di esseri che, invece di avere un’esperienza diretta del mondo, sono condannati a lasciarsi nutrire di fantasmi; e che ormai non desideriamo quasi più nient’altro, neppure altri generi di libertà di scelta; e forse non siamo nemmeno più in grado di immaginarne altri (...) che noi si voglia partecipare o no, partecipiamo perché siamo fatti partecipare (...) viviamo in un mondo per il quale non hanno valore il mondo e l’esperienza del mondo, ma il fantasma del mondo e il consumo di fantasmi (...) anche il cosiddetto mondo reale, quello delle cose che accadono, è mutato anch’esso, perché se ne fa un fantasma manipolato in modo da essere adatto alla trasmissione, cioè risulti buono per essere tradotto nella sua versione-fantasma.

Si può quindi parlare di un analfabetismo post-letterario, dovuto all’odierna inondazione globale di immagini:

(...) il fatto che si invita l’uomo d’oggi, dovunque e con tutti i mezzi della tecnica riproduttiva, a contemplare immagini da tutto il mondo, quindi apparentemente a essere partecipi del mondo intero (o di ciò che deve passare per “mondo intero”) meno gli si concede di prendere parte alle decisioni fondamentali che riguardano il mondo (...) siamo già a tutte quelle caratteristiche negative che di solito colleghiamo con l’idea del voyeur.

Si tratta di una “iconomania”, dice Anders, che ottunde e impedisce la comprensione, perché le sole immagini ...[continua]

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