Forse quando uno non ha un’idea di futuro o non ha più speranze, è portato a pensare di trovare la fonte dei diritti e delle ragioni nel passato suo o dei propri antenati. Forse siamo dei conservatori perché non riusciamo a immaginare nulla di meglio per il futuro. Uno degli aspetti che più mi attirava delle rivolte degli anni Settanta del secolo scorso era che svincolavano il futuro dalla nascita e dalle origini, o almeno tentavano di farlo. Per esempio, a Torino le lotte furono anche un grosso veicolo di integrazione tra meridionali e autoctoni del nord, e la media dell’obbligo fu un grande motore sociale. Con il prevalere dell’identità (di genere, orientamento e etnia) come fonte di diritti, ovvero il chi si è e non il che cosa si fa, le cose sono diventate più complicate.
Resta però un fatto: il passato è quello che era. Lo si può in parte reinterpretare, anche riscrivere, ma fondamentalmente e onestamente resta quello che è stato. Lo si può anche cancellare, o rimuovere/condannare come nella damnatio memoriae. Se poi ci deve essere compensazione, questa riguarda le singole persone o le istanze collettive (siano popoli, etnie)? È molto importante definire se la questione riguarda persone o gruppi e se gli stessi valori vadano applicati a tutti o meno. Comunque si può dire di tutto ma alla fine il passato non lo si cambia.
Mi preme dirlo perché le lotte e le rivendicazioni centrate interamente sul passato non hanno via d’uscita. Mi ricordo quando, tanti anni fa, andando per lavoro a Budapest (appena dopo il cambio di regime), in volo, mi capitò di avere accanto un dentista serbo che era stato a un convegno di cosmesi dentistica a Milano. Gli chiesi come mai andava a Budapest e mi spiegò che un bus dall’Ungheria era ormai l’unico modo per andare a Belgrado. Iniziava allora l’embargo e l’isolamento della Serbia. Gli chiesi cosa stesse succedendo nell’ex Yugoslavia (la guerra non era ancora iniziata) e mi rispose che nel 1389 alla Piana dei Merli le forze ottomane di Murad avevano sconfitto il Principe Lazzaro della Serbia, aprendo la porta all’invasione dell’Europa. Pensai subito: “Sarà guerra perché il passato non lo puoi cambiare, solo vendicare”. Lo stesso dicasi per gli insediamenti in Giordania dove la “ragione” dei coloni israeliani starebbe nel fatto che gli ebrei c’erano da prima (è indubbiamente vero che duemila anni fa gli ebrei o giudei c’erano e di arabi neanche l’ombra, ma forse questo non dà di per sé dei diritti oggi). Da quando comincia la titolarità? Ancora un esempio: un conoscente con aria sicura mi dice che la corona britannica deve restituire il diamante Koh-i-noor. La corona, per altro, è lo stato, non la famiglia reale, ma questo non cambia nulla. Al che gli ho risposto: “A chi va restituito?”. Quel diamante ha viaggiato: è stato trovato nella miniera di Kollur in India, preso dal Sultano Khaji quando invase il paese, è diventato parte del trono del Pavone saccheggiato da Nadir Shah, donato (ceduto) alla Regina Vittoria con l’annessione del Punjab dal Marajhah Duleep Singh (di Jammu e Kashmir) che ne venne in possesso dopo essere passato attraverso parecchie mani. Non dico che vada bene che lo tenga lo stato britannico, ma l’invasione dei Mughal è forse migliore di altre invasioni? O peggiore? E nel caso a chi si ridà? Ai talebani, a Modi, ai discendenti iraniani o del Marajhah?
La storia è complessa, tutti siamo stati oppressi e oppressori ed è la decisione di stabilire dei diritti più che il pregresso a doverci orientare. Questo non esime da responsabilità, sopratutto attuali, ma bisogna tenere un distacco dal passato che ci permetta di avere un futuro. Il futuro si può cambiare. I nostri diritti nascono ora. Se sono troppo legati a identità del passato non danno respiro a ciò che potrebbe essere. Se i diritti delle donne fossero legati alla nostra subordinazione che diritti sarebbero? E noi non possiamo cambiare?
E noi non possiamo cambiare?
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